Decisioni definite

Una esperienza è un contatto diretto con un evento o una situazione.
Ogni esperienza presenta quindi due caratteristiche: innanzitutto è personale, in secondo luogo è imprevedibile.

Ovviamente questo non significa che non si possa dire assolutamente nulla delle esperienze altrui, e neppure che sia impossibile prevedere le reazioni e le sensazioni di una persona.
Le caratteristiche di personalità e imprevedibilità hanno infatti vari gradi e, per esperienze comuni e banali, arrivano praticamente ad annullarsi.
Rimane comunque un un certo grado di unicità e irripetibilità: non è certo infrequente imbattersi in reazioni impreviste, ad esempio una arrabbiatura per uno scherzo o una battuta che si credevano innocue, e non è neppure insolito scontrarsi con punti di vista differenti.

Questa sostanziale, per quanto relativa, incommensurabilità delle esperienze è molto importante nella discussione sul cosiddetto testamento biologico.
Il testamento biologico è un documento, da compilare “nel pieno delle proprie facoltà mentali e in totale libertà di scelta” nel quale si manifesta l’intenzione “di non essere sottoposto ad alcun trattamento terapeutico né a idratazione e alimentazione forzate e artificiali”, tutto questo, ovviamente, in caso di: “impossibilità ad alimentarsi autonomamente; malattia o lesione traumatica cerebrale irreversibile e invalidante; malattia che costringa a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione” (tratto dal Modulo per il testamento biologico della Fondazione Veronesi).

Il testamento biologico si basa su alcuni importanti e condivisibili assunti, ad esempio la necessità di subordinare ogni terapia e trattamento medico ad “un esplicito ed espresso consenso dell’interessato, prestato in modo informato, libero e consapevole” (dalla Bozza del disegno di Legge).
Il problema, ed è un problema concettualmente insormontabile, è che la espressione anticipata di volontà è una idea decisamente difficile. Difficile appunto perché il consenso anticipato può essere libero e consapevole, ma non può essere informato, dal momento che è impossibile sapere prima cosa accadrà in seguito, come si configurerà la tragica esperienza, personale e imprevedibile come tutte le esperienze.

Un’altra difficoltà, strettamente concettuale, del testamento biologico riguarda le lesioni cerebrali irreversibili e invalidanti.
Il filosofo inglese John Locke escogitò un interessante esperimento mentale. Cosa accadrebbe se tutti i ricordi di un principe venissero trasferiti nella testa di un ciabattino? Diremmo che l’anima del principe si è trasferita nel corpo del ciabattino, oppure che il ciabattino ha delle allucinazioni? L’esperimento è estremo, tuttavia mostra come il concetto di identità personale non sempre sia un punto fermo sul quale fare affidamento.
Se ammettiamo che in seguito a lesioni cerebrali non ci sia più la persona di prima, con i suoi ricordi, le sue conoscenze, il suo carattere, ossia con la sua personalità, ma un’altra persona diversa, allora con quale diritto la prima persona può decidere della vita della seconda?

Le obiezioni sollevate qui sono essenzialmente filosofiche e concettuali, e i casi previsti dal modulo della Fondazione Veronesi sono sufficientemente chiari per farle cadere: gli scenari tratteggiati fanno pensare alla scomparsa di qualsiasi persona, e quindi alla impossibilità di qualsiasi esperienza.
Tuttavia non mi dispiacerebbe vedere, nella bozza del disegno di legge, un periodo di validità della dichiarazione anticipata di volontà.

11 commenti su “Decisioni definite

  1. sono d’accordo sul problema di identita’. ma quello, lo dici anche tu, e’ risolvibile da un punto di vista legislativo restringendo il campo.

    mentre invece mi sembra che tu non difenda per niente l’imprevedibilita’ dell’esperienza su cui costruisci il primo problema per il testamento biologico. perche’ l’immaginazione e la percezione di esperienza altrui non dovrebbero essere sufficienti? certo non puoi difendere questa imprevedibilita’ con solipsismo/soggettivismo, perche’ altrimenti poi il testamento biologico non si pone proprio come problema

    ciao,
    nullo

  2. Il problema dell’imprevedibilità è innanzitutto concettuale. Un po’ come l’impossibilità della traduzione: la traduzione è concettualmente impossibile, però il mondo è, per fortuna, pieno di traduzioni, alcune belle e altre brutte.

    Il problema, all’atto pratico, è: l’immaginazione è sufficiente per scegliere se staccare o no la spina (espressione grezza ma efficace)?
    Non so rispondere alla domanda.
    Un particolare, credo utile per accennare una risposta, che ho taciuto del testamento biologico, nelle proposte della Fondazione Veronesi, è la presenza del rappresentante fiduciario.

  3. La persona dopo un incidente (o qualcosa per cui i medici debbano tener conto la volontà precedentemente espressa nel t.b.) sarà inevitabilmente diversa da quella che ha firmato il t.b.

    Tuttavia, al momento in cui la seconda persona non abbia capacità cognitive tali da permettergli una decisione, cioé al momento in cui si dovrà – per l’appunto – tener conto del t.b., sarà allora la persona più vicina ad essa a decicere: sarà la prima persona.

    Insomma: qualcuno deve decidere. Finché si tratta di trattamenti terapeutici le decisioni dei medici siano le benvenute. Se però non c’è terapeuticamente più nulla da fare allora tanto vale far decidere l’ammalato sul dafarsi; se l’ammalato a quel punto sarà incapace di intendere e volere (in modo medicalmente irreversibile) allora la decisione spetterà a chi ha più diritti su quel corpo… indovinate chi sarebbe?!

  4. francesco: seguo il tuo ragionamento, per quanto essere diversi da prima non significa necessariamente essere una nuova persona).
    Se ho ben capito, dici che anche se l’autore del t.b. (X) non è più la stessa persona che adesso si trova priva di capacità cognitive (Y), X sarà comunque la persona più adatta a scegliere e più vicina a scegliere.
    Questo ragionamento, mi sembra, regge solo se:
    1) una decisione è necessario prenderla, perché solo in quel caso è ammissibile che del futuro di Y scelga X;
    2) che non ci sia Z, magari più idonea a giudicare : se il t.b. fosse stato compilato venti anni fa, è giusto che prevalga Y, l’autore del t.b. di cui nulla si sa da vent’anni, oppure Z, il compagno o la compagna sempre accanto?

    Purtroppo su tutte queste discussioni prevale la situazione 1: una decisione va, pragmaticamente, presa, e X, Y e Z restano quello che sono: fantasmi di chiacchiere filosofiche non si sa quanto adatte a discutere un disegno di legge.

  5. concordo con ivo, non vedo quali siano le ragioni addotte da francesco per pensare che “x prima” dell’incidente sia la cosa più vicina a “x dopo”. soprattutto se “x dopo” non è più persona, come mi sembra probabile, allora tutte le persone sono equidistanti da “x dopo”.

  6. Ciao Ivo, il tuo post tratta anche di altro, sopprattutto di altro, però permettimi di osservare un cosa sul lato “chiacchiere filosofiche”, come simpaticamente le chiami…
    Locke mi pare usi un sofisma.
    ( Io, lo dico per fare show down, onestamente non lo considero granché, anzi neanche un filosofo, come tutti gli empiristi e/o comportamentisti. )
    Thomas Reid rispose a lui con una graziosa riduzione ad assurdo.
    Locke dice che la mia identità si estende fino a dove arriva la mia consapevolezza.
    Bene, poniamo un generale in pensione che si ricorda della sua gloriosa battaglia, che gli ha procurato una rendita statale per la vecchiaia e l’orgoglio di aver compiuto un gesto storico.
    Quando era comandante, invece, lui ricordava un’onta ricevuta da ragazzo, che lo spinse a combattere con ardore e vincere la battaglia per cancellare l’umiliazione e riscattarsi. Magari non l’aveva sempre presente nella sua mente in modo conscio, ma la ricordava! E se gli avessero chiesto “Perché combatti?”, avrebbe detto: “Per un’offesa!”
    Tuttavia il vecchio non si ricorda più della sua infanzia. La sua memoria arriva solo alla battaglia.
    Chiamiamo A il vecchio, B il comandante e C il ragazzo. A sarebbe uguale a B, B sarebbe uguale a C, ma A sarebbe diverso da C.
    Il che è assurdo.
    L’identità personale quindi non è la semplice consapevolezza attuale di una identità.
    Non mi pare una cosa da poco, per le proposte di Veronesi.
    ciao, Eno!

  7. Ah, preciso: ovviamente quello che citi di Locke non afferma esplicitamente che identità= memoria, ma è questo il presupposto perché il suo esempio del ciabattino possa dimostrare una qualche “vaghezza” nell’identità. Se l’identità non è la memoria, la memoria di essere un principe non fa di uno sciuscià ( forse ) un nobile, istillando con il forse un dubbio di presunta profondità…
    ciao, Eno!

  8. A sarebbe uguale a B, B sarebbe uguale a C, ma A sarebbe diverso da C.
    Il che è assurdo.

    Assurdo solo se ammettiamo che l’identità personale sia una relazione transitiva, e il mondo è pieno di relazioni non transitive.
    Ho preso Locke per la domanda, non per la sua filosofia empirista (che tu chiameresti semplicemente empirismo).
    Sul rapporto tra identità e memoria: bisognerebbe sentire uno psicologo, ma so che è possibile instillare e cancellare particolari ricordi in un persona; non è semplice, ma è possibile. Forse l’esperimento mentale di Locke potrebbe diventare esperimento concreto (eticamente più che discutibile) e scientifico: secondo me si avrebbe un’altra persona, ma il ciabattino non diventerebbe principe e viceversa.
    Infine, se mi passi il gioco di parole, persona non è un concetto personale: chi sono io è anche una domanda sociale e collettiva, e bisognerebbe guardare anche ai comportamenti altrui (esperimento mentale estremo: io perdo la ragione e vengo interdetto; tutte la mia vita è inserita in un calcolatore che, in base al passato, impara a comportarsi come me; il direttore di una banca non può accettare una decisione presa da me, in quanto interdetto, accetterebbe una decisione del computer?)

  9. E’ vero, deve essere transitiva, come molte relazioni non sono. Ma, appunto, se la non lo è, perché parlare di identità, che transitiva lo è sempre? Locke pretende di CONFUTARE dall’interno una tesi ontologica, e, pena la non pertinenza dell’argomento, è tenuto ad usare identità in quel senso.
    La sua “identità” diventa invece sinonimo di “responsabilità personale”( in parte, e forse ), “capacità di spiegare e giustificare il proprio comportamento passato” o “possibilità di immedesimazione”… E chi mette in discussione che non posso immedesimarmi in ciò che non ricordo o che nessuno può imputarmi violazioni a promesse che ho dimenticato? Ma non era quello il punto.

    Quanto ai ricordi iniettati, che costituirebbero un’altra identità e un’altra persona, non sono d’accordo.
    L’esempio di Reid l’avevo “pompato” appositamente con un paio di aggiunte: a) i soldi della pensione e b) l’orgoglio dell’azione eroica.
    A) I soldi sono un effetto concreto della battaglia passata, esattamente come le ferite o magari un cambiamento cerebrale del carattere, vuoi dovuto ad una botta nella mischia vuoi per opera di psichiatri folli.
    Ora, tutti gli eventi o stati di cose “concreti”, i fatti psichici interni e le sensazioni godono dell’oblio del passato. La cicatrice potrebbe essere così&così anche se la causa fosse un incidente in cucina, e il carattere brusco potrebbe rimanere anche se causato da un ictus o da una manipolazione neurale profonda. Anche se il generale venisse a sapere che la battaglia se l’è sognata, cicatrice ed carattere rimarrebbero invariati e non si placherebbero il dolore alla schiena e gli attacchi di bile.
    B) Però c’è dell’altro in una persona: gli atti trascendenti, cioè quelli che si rivolgono al mondo esterno ed hanno una pretesa di verità.
    L’orgoglio- ma anche il sentimento di riscatto per l’onta durante la battaglia e ogni credenza- è un atto della coscienza, diretto verso il mondo esterno, e non è indifferente alla verità. Posso essere orgoglioso solo di un fatto che ritengo reale e posso vivere qualcosa come un riscatto solo se penso d’esser stato offeso: se scopro che tutto era immaginato o frutto d’una manipolazione, l’orgoglio e il senso di riscatto cessano. L’orgoglioso generale diventerebbe d’un tratto un misero pensionato, anzi agli occhi di uno che conosce i fatti lui è già un personaggio pirandelliano.
    Insomma, gli esempi che tu poni mostrano come si può rendere diversa una persona( someone different ) con un inganno, cioè un trucco, ma non renderla una persona diversa( someone else ). Per fare questo dovresti o modificare passato e presente, il che è impossibile, oppure cambiare il carattere trascendente della coscienza, egualmente impossibile perché allora non sarebbe più coscienza personale.
    ciao, Eno!

  10. Giusto per ripassare una vecchia lezione di matematica: una relazione, per essere di equivalenza, deve essere riflessiva, simmetrica e transitiva. Qualsiasi criterio di identità deve quindi rispettare queste condizioni… se pensiamo l’identità come un qualcosa di vicino ad un teorema matematico.
    Nel finale parli di trascendenza della personalità: sono un po’ a disagio con la trascendenza, e in tutta questa discussione ho in mente un concetto sociale ed esterno di persona.
    Credo che la nostra divergenza sia tutta qui: la mia domanda è “quando lui è ancora lui?”, la tua invece “quando io sono ancora io?”.

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