Considerazioni linguistiche

Pieter Bruegel il Vecchio, La Torre di BabeleUn viaggio attraverso Germania, Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia, Finlandia e poi di nuovo Germania significa affrontare salti linguistici notevoli.

Fortunatamente l’inglese lo conoscono un po’ tutti, e anche le interazioni linguistiche più impegnative si possono risolvere tranquillamente a gesti (così è stato a Vilnius, dove la matrona dell’albergo, praticamente una affittacamere, parlava solo lituano, polacco e russo). Ad ogni modo, le guide turistiche forniscono un mini-vocabolario, un insieme di vocaboli ed espressioni utili per la sopravvivenza, quel minimo per non confondere, nei tabelloni degli orari, gli arrivi con le partenze o i giorni festivi con quelli feriali.

Una delle espressioni tradotte è “Parla inglese?”.
Il senso di questa espressioni mi sfugge. Di solito uno inizia a parlare inglese (o italiano: non si sa mai), e se l’altro non capisce si passa a una altra lingua o, appunto, ai gesti, confidando sulla disponibilità e sul buon senso.
Secondo la guida, invece, per le vie di Kaunas o di qualche altra città della Lituania, dovrei chiedere a un passante, con la guida in mano per ricordarmi la pronuncia, “Ar Jūs kalbate angliškai?”
E se questo mi risponde, sempre in lituano “Mi spiace, non parlo inglese, ma lei un po’ di lituano lo conosce, quindi mi dica come posso aiutarla”? O, peggio ancora, “Quello che ha appena detto non ha alcun senso: il suono ricorda vagamente una frase in lituano, ma molto vagamente.”?

Comunque, anche senza l’aiuto del micro-dizionario e ignorando il significato di praticamente tutte le parole straniere, numerosi momenti linguistici risultano perfettamente comprensibili: evidentemente questi momenti non sono proprio linguistici.
La parola polacca, lituana, lettone o estone che indica le deviazioni stradali e perfettamente comprensibile anche senza sapere il polacco, quando viene scritta sui cartelli gialli di fronte ad una strada chiusa (oltretutto, contrariamente all’Italia, questi cartelli sono presenti lungo tutto il percorso della deviazione). E sono inoltre sicuro che il cartello situato nella toilette di quel bagno lituano reciti “Si prega di lasciare il bagno come lo si è trovato”.
Mia moglie non ha avuto problemi a capire le scritte “Saldi” sulle vetrine dei negozi, e anche la scritta “se prendi tre paia di scarpe ne paghi solo due” non ha presentato particolari difficoltà, nonostante l’idioma non famigliare.

Le scritte “spingere” e “tirare” sulle porte, invece, risultano incomprensibili in tutte le lingue, compreso l’italiano e l’inglese: a fare la differenza sono l’abitudine e la forma della maniglia.
I gesti sono l’unico linguaggio universale…

6 commenti su “Considerazioni linguistiche

  1. Ti poni simili domande quando, aggirandoti con aria svagata in una passeggiata vicino al confine di Stato, un poliziotto con cipiglio sospettoso ti chiede- un accento dialettale ben più forte del tuo-: “Lei… lei parla italiano?”.
    Allora, ti fermi perplesso e in un batter di ciglia mediti con te stesso:
    ” Diavolo, poliziotto, questa è una “domanda polare”: è necessario poterti rispondere o SI o NO…
    Io vorrei farlo, MA QUESTA E’ DAVVERO UNA DOMANDA?
    Se dicessi o no, comunque l’italiano lo capirei… ci avevi pensato, pubblico ufficiale?
    Lasciamo stare ipotesi di omofonia, per dire, con l’inglese: siamo sul confine orientale, quello vuole sapere- diciamolo chiaro – è se sono un clandestino e nelle lingue slave no suona ne.
    Non farò il cavilloso: è chiaro che ti rivolgi a me per due esigenze.
    Sapere se sono italiano e sapere quanto puoi comunicare con me, ché potrei masticare un po’ la lingua senza parlarla davvero.
    Ma a te poliziotto di sapere se io parlo italiano o no, non te ne può importare di meno! E se parlassi inglese, chessò un conferenziere ad un congresso? O se fossi un turista austriaco?
    O se venissi da una valle del veneto e conoscessi solo il ladino?
    Quindi, se a te non importa di sapere e un no non te lo posso dare, la tua non è una vera domanda, e io non posso risponderti.
    Capito graduato? DISOBBEDIENZA CIVILE! TOTALE DISOBBEDIENZA!!!
    Una smorfia di soddisfazione e di superiorità empirea si disegna sul tuo volto: tu ha indubbiamente ragione.
    Poi, cessata l’ebrezza filosofica, rispondi timoroso al poliziotto quel che voleva sentire e fili dritto senza voltarti.
    😉

  2. Dovresti pubblicare questo commento sul tuo sito. Già vedo il titolo:
    Il filosofo e il poliziotto: la forza della ragione contro le forze dell’ordine. 😉

  3. Anche i gesti non sono un linguaggio universale.
    Se sono gesti che indicano direttamente l’azione da compiere magari sono comprensibili a tutti, ma ci sono tutta una serie di gesti che non hanno nulla a che vedere con l’azione richiesta.
    Per richiedere un passaggio, per esempio, in Italia ci si mette sul ciglio della strada con un pollice verso la direzione in cui si vuole essere trasportati. In Uganda questo gesto è considerato fortemente offensivo. Per richiedere un passaggio si agita la mano come se si stesse palleggiando verso l’alto. E, in certi posti particolarmente isolati, quando si vede un’automobile e si ha bisogno di un passaggio, ci si pianta al centro della strada in modo da costringere il mezzo a fermarsi. E là questo gesto non viene considerato una specie di violenza, come sarebbe da noi.

  4. Anche i gesti non sono un linguaggio universale.

    Tristemente vero.
    Fortunatamente, non dovevo insultare nessuno e neppure fare l’autostop 😉
    Più che i gesti, è stata la situazione ad aiutarmi: difficilmente uno straniero che entra in un albergo vuole qualcosa di diverso dal prendere una camera! Il resto (numero di notti e prezzo), sono semplicemente due cifre difficilmente confondibili…

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