Come l’uomo inventò la morte

The Buried SoulTimothy Taylor, Come l’uomo inventò la morte; Newton-Compton, 2006

La morte è un evento naturale, forse è l‘evento naturale, quello a partire dal quale si può definire l’uomo come animale mortale, non nel senso banale che può morire, bensì che pensa alla morte.
Cosa significa dunque parlare di invenzione della morte? Il titolo italiano del libro di Taylor, che è il sottotitolo dell’edizione originale: The Buried Soul: How Humans Invented Death, contiene dunque un piccolo paradosso: l’uomo non può inventare la morte, sia perché questa è un evento naturale, sia perché senza la morte l’uomo non potrebbe definirsi tale.

Il testo dell’archeologo inglese è una lunga ed interessante disamina dei riti funerari umani, di come l’uomo affrontò, e affronta tuttora, il problema dei defunti.
Il tema centrale dell’analisi è l’anima: la morte biologica del corpo non coincide con la morte della persona, la gestione del corpo del defunto, pertanto, non è e non può essere un semplice problema igienico. Questo, ovviamente, non vale solamente per popolazioni cantiche o primitive: anche gli elaborati riti funebri dell’evoluto e laico occidente manifestano gli stessi schemi fondamentali.

Due regni distinti

La morte non è la fine di una vita, non è semplicemente la scomparsa di una persona: i morti, in una qualche maniera, continuano a vivere, continuano ad esistere. Non si allude all’esistenza di una qualche forma di paradiso o di aldilà, e neppure alla possibilità della reincarnazione: i morti continuano ad esistere perché anche le persone morte hanno un ruolo sociale. Nel nostro laico occidente, questo ruolo è dato, ad esempio, dai testamenti, dai ricordi, dalle innumerevoli azioni compiute “in memoria di”.

I morti, quindi, esistono e il loro mondo, ovviamente, non è quello delle persone vive: il regno dei morti non è il regno dei vivi.
La morte, e in generale il rito funebre, è quindi un passaggio: l’anima, la personalità del defunto, passa dal regno dei vivi a quello dei morti. Ogni passaggio è composto di tre fasi: il distacco, la fase liminare o periodo di interregno, l’accettazione nella nuova comunità.

Taylor studia attentamente sia i riti completi, che si completano con l’integrazione del defunto nel regno dei morti, sia quelli incompleti, nei quali prevale la volontà di interrompere il cammino dell’anima. Alcune persone potrebbero infatti non risultare degne di raggiungere il regno dei morti, di trovare la pace: assassini e criminali in generale, ma anche uomini deformi o peccatori. Il rituale, in questi casi, si interrompe nella seconda fase: il morto si distacca dalla comunità dei vivi ma rimane bloccato o imprigionato nel confine, impossibilitato a entrare nel regno dei morti.

Assolvere e condannare

Questi riti si svolgono, oggi, secondo modalità che consideriamo incruente. In passato, invece, potevano assumere contorni decisamente violenti.

Taylor dedica molte pagine ad funerale vichingo avvenuto intorno al 921. Il rito funebre, raccontato con dovizia di particolari da Ibn Fadl

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