Commentando una certa fotografia, giowind si interroga sul concetto di libertà:
Il concetto di libertà è assai complicato. Mi ricordo di un professore che la definì: la capacità di scegliere il bene. Un altro docente mi ha insegnato che la libertà è una proprietà degli atti umani volontari e coscienti.
Il concetto di libertà si ritrova così apparentato con quelli di bene, di volontà, di coscienza e l’elenco potrebbe continuare, ad esempio, con la responsabilità.
Questa linea argomentativa non mi dispiace, però mi sembra giusto ricordare un altro approccio, meno qualitativo e più quantitativo, ma non per questo filosoficamente meno interessante:
La domanda non è se siamo liberi, ma quanto siamo liberi.
La libertà è il numero di possibili risposte a uno stimolo. Di fronte a una minaccia, ad esempio il bastoncino dello sperimentatore, il lombrico ha solo due risposte possibili, mentre l’uomo ha una enorme ricchezza di reazioni.
Così, grosso modo, si è espresso Edoardo Boncinelli durante un recente convegno.
La libertà è un concetto assai complicato. Una buona idea potrebbe essere semplificare il complicato, cercando di non perdere l’essenziale.
Per stare in tema gaberiano (facile), “libertà è partecipazione”. Ma m’interesserebbe altresì sapere, oltre cosa la libertà sia, anche cosa si può “fare” con essa, ovvero conoscerne i limiti.
Libertà è stare distesi in una barchetta, a farsi dondolare dalle acque del Rio Verde, in Mato Grosso, con un cappello di paglia che ti protegge dal sole, mentre la canna da pesca ti procura la cena e tua moglie si trova a 12.000 chilometri di distanza……. 🙂
un link me lo merito, no?
La nostra libertà finisce dove finisce quella degli altri. Ma dove finisce quella degli altri?
Nel caso di quella foto: i due tizi sono liberi di vestirsi come vogliono, ma non sono le persone libere di non “non volerle vedere”, perché questo comporta un’offesa alla loro…morale? Una libertà a cui probabilmente affidiamo un valore minore della libertà di vestirsi e legarci a chi ci pare. A questo punto diventa solo un confronto di “importanza della libertà”. Ma il problema non si risolve mai!
ovviamente -finisce dove inizia-. Che bella gaffe, un commento già mediocre completamente rovinato : D
Ho desistito più volte da scrivere post sulla libertà appunto perché ha molte diramazioni.
( Forse lo farò tra un po’, non so… E’ là che aspetta da due mesi. )
In questo caso, tu parli di libertà politiche o di libertà morali? Non sono la stessa cosa.
Sono forse parenti lontani lontani, visto che le prime ci dicono quanto ci si può intromettere nel ambito altrui, le seconde toccano essenzialmente la coscienza del singoli.
Scriverò una cosa che non porta avanti di un solo millimetro la questione.
Una buona idea potrebbe essere invece non cercare affatto di rincorrere il concetto generale, semplificato o complicato.
Meglio analizzare e sbrogliare le singole libertà, con le proprie peculiarità, nei vari campi umani in cui le incontriamo.
Poi al massimo si va bottom up.
La filosofia non è una disciplina deduttiva, e non ha bisogno di un cercare “in alto” la legittimità di ciò che teorizza.
Temo poi che una teoria “generale” della libertà sarebbe retta da nessi più etimologici che altro.
ciao! Eno
Ps: Giusto Ivo! Metti il link! 🙂 Ho penato un minuto per trovare con google il post.
La libertà è il numero di possibili risposte a uno stimolo.
Se il mondo è deterministico, come pensava Einstein, in quanti modi puoi reagire a un dato stimolo? Uno solo. Non sei libero di fare altrimenti.
Se invece il mondo non è deterministico, (cioè l’esito di uno stimolo non è mai determinato univocamente, ma è governato solo da una distribuzione di probabilità)? In questo caso puoi reagire in più di un modo, ma non sei tu a determinare in quale modo. La cosa non dipende da te. (Per ipotesi, non c’è niente che determini l’esito, c’è solo una distribuzione di probabilità.)
In entrambi i casi, è difficile sostenere che siamo “liberi”.
Propongo quindi che la libertà potrebbe essere solo una costruzione della nostra mente, un’idealizzazione. Cioè, la libertà potrebbe essere solo nel nostro cervello, ma non nel mondo.
Il nostro cervello, come sappiamo, è un simulatore di mondo (prodotto dall’evoluzione). Esso contiene dei fatti che tu credi veri sul mondo, e delle regole di inferenza che tu credi valere nel mondo esterno — regole con cui tu cerchi di prevedere cosa accadrà nel mondo facendo una certa cosa. Con questi fatti e regole, tu puoi cercare di fare delle previsioni sul mondo. Ad esempio, puoi domandarti se Tizio deciderà di mangiare il panino oppure no. Quando, con le regole nel tuo cervello, non riesci a dimostrare né che Tizio lo farà né che non lo farà, allora dici che “Tizio è libero”. Ma questo è solo un modo di dire. Non significa che Tizio sia davvero libero. Forse, se avessi avuto nel tuo cervello una conoscenza del mondo più completa, saresti forse riuscito a dimostrare che Tizio mangerà in effetti il panino. In questo caso, non avresti concluso che Tizio è libero.
Insomma, il fatto che a te Tizio sembri libero non significa che lo sia davvero. Il fatto che Tizio sia libero nel tuo cervello non significa che sia libero nel mondo reale.
Ciao
libertà è darsi da soli le leggi? (o perlomeno fingere di darsele da soli – kant)
no, io sono orientato sulla libertà come somma di decisione e responsabilità personali. ma certo, ai massimi livelli è difficile sostenere che in un universo probabilmente determinato ci sia libertà.
luca massaro: beh, come ha ricordato Vaaal, la mia libertà finisce dove inizia la tua (anche se non è ben chiaro quale sia questo dove). Il problema, temo, è politico, non filosofico…
lector in fabula: Non so se quella sia la libertà. Di sicuro, è una gran bella libertà!
giowind: Preso dalle notizie di attualità, mi ero dimenticato di aggiungere il link. Scusa. Adesso ho corretto.
Vaaal: No, il commento non è mediocre, anzi. Il problema è appunta la mia libertà di non vedere due persone vestite così, libertà abbastanza ridicola in questo caso (non è che uno rischi l’infarto per così poco), ma in altri no (vedi campagna pubblicitarie particolarmente crude).
eno: Socrate cercava l’idea e mazziava chi gli rispondeva con esempi concreti. Tu il contrario.
Preferisco il tuo approccio, però un qualcosa, anche se non una definizione, ci vuole, altrimenti non capiremmo di cosa si discute.
Maurizio: La tua è una (ottima) analisi del problema se siamo liberi. Boncinelli, ed è questa la forza del suo approccio, questo passaggio lo salta e passa a chiedersi quanto siamo liberi.
Forse è tutto determinato, o al contrario indeterminato, rimane il fatto che il lombrico o scappa o si attorciglia, mentre l’uomo può sorriderti, denunciarti, scrivere una lettera al giornale…
alex: Libertà come somma di decisione e responsabilità mi piace, e penso che come teoria possa sopravvivere anche al determinismo…
Non dovrebbe essere la “capacità di scegliere e basta”? Senza dare una valutazione sul “bene” o sul “male” che l’eventuale scelta comporta?
Se posso, rispondo io.
Libertà è plurivoco.
Esiste una libertà che realizza me stesso. Un corpo può essere allenato fino alla sua forma di massima salute, cioè la sua forma di bene. Quando usiamo al meglio il corpo e non soccombiamo a malattie o debolezza diciamo: “Sono più libero di prima! più libero di un malato!”
Fuor di metafora, una persona ha o si pone degli scopi come suo bene.
Con ciò non s’è però ancora deciso se questo è anche buono in sé.
Se io agisco, mi esercito, scelgo e penso in modo da poter raggiungere il bene ho una certa libertà. Se liberamente o meno( in altro senso ) non mi esercito e non agisco verso quel fine, sono meno libero.
Anche un vermicello può arrivare a una condizione ottimale, il suo bene strisciante ;-), ma non parliamo di libertà.
Questo perché non crediamo di poter dire che è responsabile delle proprie azioni.
Poi c’è la libertà come possibilità di scelta tra più opzioni, o come scelta non condizionata dall’esterno, o come scelta autonoma, o come atto di scelta sottratto- dicono- alla causalità fisica e dunque non determinabile, o le libertà politiche…
Una non implica l’altra.
ciao! Eno
galatea: Sì, si può, ma non è detto che il discorso migliori (sofisticherie di filosofi, lo so!)
eno: chiarissimo e completo.
Boncinelli, ed è questa la forza del suo approccio, questo passaggio lo salta e passa a chiedersi quanto siamo liberi…. il lombrico o scappa o si attorciglia, mentre l’uomo può sorriderti, denunciarti, scrivere una lettera al giornale…
No, non mi convince. La varietà dei comportamenti è solo nell’occhio di chi guarda. Dipende dal modo in cui il tuo cervello “clusterizza”.
Un osservatore umano è particolarmente sensibile alle sfumature di comportamento umano, mentre fa confluire tutti i movimenti del verme in una sola tipologia di comportamento; ma un osservatore diverso potrebbe ritenere il verme dotato di una maggiore varietà di azioni: il verme può fare lo striscio obliquo, lo striscio di tre quarti, mangiare le foglie in 42 modi diversi… ma l’uomo può solo parlare, muoversi e ascoltare: sa fare solo 3 cose diverse.
La clusterizzazione dipende dal cervello dell’osservatore.
Insomma, mi sembra decisamente sbagliato giustificare la maggiore libertà dell’uomo col fatto che il suo comportamento è “più vario” di quello del verme.
@Maurizio: Quindi, secondo te, non si può affermare che un lombrico (che non mangia le foglie, al contrario del bruco) ha meno libertà dell’uomo? Oppure si può affermare tenendo conto della relatività della domanda?
Affermeresti lo stesso, ad esempio, per la velocità della luce: non è vero che è di 299792458 m/s, perché dipende come segmenti la tua esperienza?
(le domande non sono retoriche o ironiche).
E’ verissimo quel che dice Maurizio, ma c’e’ una ragionevole oggettivita’ nella differenza fra un lombrico e un uomo.
Gli eschimesi (mi pare di aver letto) hanno un sacco di nomi diversi per il bianco della neve, capaci di cogliere sfumature e riflessi che noi ci perdiamo. Ma c’e’ una differenza fra il bianco e il resto dei colori che non puo’ essere ridotta alla sola capacità di percezione dell’osservatore.
Non tutto e’ relativo e il bello e’ proprio riuscire a distinguere i neri fatti dalle convenzioni bianche. Certo, uno puo’ essere Quiniano fino in fondo e sostenere che la realta’ e’ intrinsecamente grigia, ma non certo tutta bianca!
In altre parole tu mi chiedi: se tutto dipende dal cervello dell’osservatore, non ha proprio senso parlare di libertà? Neppure tra due uomini? Ad esempio, tra Berlusconi e un senzatetto, non ha senso dire che il primo è “più libero” del secondo? E se non ha senso, perché lo diciamo?
Secondo me se ne viene a capo solo una volta che si considera il cervello per ciò che è: un dimostratore inferenziale di proposizioni, cioè un simulatore di mondo. E solo esaminando i meccanismi di basso livello che avvengono quando due persone comunicano tra loro.
E’ certamente possibile che io, parlando con te, dica “Berlusconi è più libero di Mario Rossi”. Con ciò intendo dire che berlusconi ha “più opportunità”, più “gradi di libertà”. Quindi, nel discorso sembra sensato parlare di libertà maggiore o minore. Ma che significa davvero quella frase, in termini computazionali? Significa che, nel mio cervello, ci sono alcune azioni per le quali riesco a _dimostrare_ che Berlusconi le può fare, ma non riesco a dimostrare che Mario ROssi le può fare. Ad esempio, l’azione “vivere alle Fiji”: riesco a dimostrare che Berlusconi può andare alle Fiji e vivere per anni senza lavorare, ma per Mario Rossi non riesco a dimostrarlo: la dimostrazione si blocca quando arriva il momento a pagare i soldi necessari per il viaggio e la permanenza. Quindi mi rendo conto che, _nel mio cervello_, Berlusconi può fare qualcosa che Mario non può fare. E che il viceversa non vale: non esistono cose che Mario Rossi può fare e Berlusconi no. (O meglio, non esistono cose _rilevanti_ che Mario può fare e Berlusconi no: certo, Mario Rossi può scrivere con la grafia di Mario Rossi, o parlare con il timbro di voce di Mario Rossi, o saltare più in alto di Berlusconi, ma queste cose per me non le considero _rilevanti_.) Quindi concludo che Berlusconi è “più libero” di Mario Rossi. E, quando ti dico questa frase a parole, tu mi capisci.
Ma nota che tutto questo presuppone che il parlante e l’ascoltatore abbiano in già partenza, nel cervello, un elenco condiviso di “azioni rilevanti”. Il motivo per cui tu mi capisci è che la clusterizzazione nel tuo cervello è molto simile alla mia. Non mi capiresti se nel cervello avessi una conoscenza del mondo molto diversa dalla mia. Se io considerassi rilevante l’atto di saper costruire una diga, il castoro potrebbe sembrarmi più libero di Berlusconi, perché ha più opportunità. Un anfibio potrebbe sembrarmi più libero di Berlusconi, perché lui può vivere anche sott’acqua e Berlusconi no.
Quindi la risposta è: sì, ha senso parlare di libertà, ma solo se gli interlocutori hanno un database cerebrale (world knowledge) molto simile tra loro; ha senso solo tra due cervelli che contengono un elenco di “azioni rilevanti” piuttosto simile. Se questa condizione non vale, i due interlocutori non si capiscono.
Qualcuno disse: “se un leone potesse parlare, noi non lo capiremmo”.
@hronir: Sulla storia degli esquimesi ero stato gentilmente cazziato a Paola Bressan: a quanto pare non hanno molti nomi, ma semplicemente usano i nomi composti (come il tedesco) per cui quello che noi chiamiamo con un giro di parole (ad esempio neve pesante) loro chiamano con una parola sola (nevepesante).
@Maurizio: Lasciando da parte il discorso sul cervello, che mi sembra superfluo, capisco il tuo punto di vista e, almeno in parte, lo condivido.
Però dubito che non si possa affermare che un uomo abbia più libertà di un lombrico: penso sia possibile un punto di vista oggettivo sul numero di possibili reazioni (magari proprio a partire dalla complessità dei centri nervosi) a uno stimolo ben preciso. Il numero, non la loro rilevanza.