Causa ed effetto

C’è una leggera scossa di terremoto. Un sasso si stacca dalla montagna, rotola lungo un pendio finché urta contro il vetro di una finestra, rompendolo.

Quale è la causa della rottura del vetro?1
Il terremoto? Il sasso? La forza di gravità? La fragilità del vetro? La posizione della finestra?
Tutti quanti sono “eventi” necessari perché il vetro si rompa, e trovo difficile isolarne uno in particolare e dire: ecco, questa è la causa.

Proviamo a variare un po’ il contesto.

La casa si trova in una zona sismicamente tranquilla: a memoria d’uomo non ci sono mai stati terremoti, neppure leggeri.
In questo caso mi sentirei di affermare che a rompere il vetro è stato il terremoto.

Supponiamo adesso che la casa si trovi in una zona relativamente sismica: le scosse di questa intensità sono abbastanza frequenti. Scosse che però non hanno mai provocato sgretolamenti nella solida roccia.
La causa della rottura del vetro, in questo caso, sarebbe il sasso.

Immaginiamo adesso che i vetri della casa siano blindati: i sassi che regolarmente colpiscono le finestre solitamente non le danneggiano. Ma quella finestra, evidentemente, era difettosa.
In questo caso direi che è la fragilità del vetro ad aver causato la rottura della finestra.

Non riesco a costruire scenari nei quali poter affermare che è la forza di gravità a rompere il vetro. Forse, se la casa e la montagna fossero su una base spaziale che improvvisamente si ritrova catturata da una qualche stella… meglio lasciare perdere.

A causare la rottura del vetro è l’elemento meno probabile, il più insolito. Ma non è solo questione di probabilità: la causa è l’evento che non è normale, nel senso che non rientra nella norma. Tutte considerazioni soggettive e normative: normale non è sinonimo di usuale .

Secondo Ernst Mach2 la fisica può e deve fare a meno dei problematici concetti di causa e di effetto.
Una legge fisica come l’equazione si stato dei gas perfetti non afferma che un aumento di temperatura è causa di un aumento di pressione – questa è una lettura parziale e soggettiva. Per Mach l’equazione va letta nel senso di una correlazione: la temperatura e la pressione sono grandezze correlate, senza cause o effetti.

Il concetto di causa è quindi, almeno in parte, normativo, sociale, variabile.
Questo non significa che la scienza sia incerta, relativa, un prodotto culturale come gli altri: la scienza, come ha mostrato Mach, può tranquillamente fare a meno delle cause e degli effetti.
Il problema non è degli scienziati quando fanno ricerca, ma degli uomini quando discutono su cosa fare e, per dare un’aria di oggettività al loro punto di vista – punto di vista che incorpora tutta una serie di valori, credenze e presupposti – parlano di causa e di effetto, quasi che la loro proposta fosse irrefutabile come l’equazione di stato dei gas perfetti.

  1. L’esempio è del fisico Giuliano Toraldo di Francia, ma non sono in grado di citare il riferimento esatto. []
  2. Ancora una volta non sono in grado di fornire riferimenti precisi. []

39 commenti su “Causa ed effetto

  1. Non sono d’accordo. In varia misura, secondo il caso, terremoto, sasso, caratteristiche della finestra e la stessa forza di gravità – insieme – fanno la causa della rottura del vetro. Non vedo quale sia la necessità di identificare come “sola” causa quella che, secondo il caso, sia data dall’”evento che non è normale, nel senso che non rientra nella norma”. “A causare la rottura del vetro è l’elemento meno probabile”, ma senza gli altri? Perché le altre (con)cause dovrebbero essere assorbite nel contesto perché ne sia isolata una? Questo procedere mi pare assai rischioso e in quanto al termine “normale” io penso che sia proprio “sinonimo di usuale”.

  2. @Luigi Castaldi: Sì, non ci sono motivi oggettivi e indiscutibili per isolare una delle condizioni del verificarsi dall’evento e chiamarla “causa”, e infatti se si riesce a rinunciare al concetto di causa è meglio.
    La scienza – almeno secondo Mach – ci riesce. Che ci si riesca anche quando non si fa ricerca scientifica ma si rimane bloccati sul treno il rimborso viene negato perché il ritardo non è causato da trenitalia, è un altro paio di maniche.

  3. “Il concetto di causa è quindi, almeno in parte, normativo, sociale, variabile”: verissimo.

    Poniamo che un individuo abbia avuto un’infanzia difficile, con genitori tossicodipendenti e quant’altro, sia stato vittima di violenze ecc., nell’età adulta a ragion di ciò presenta un’incapacità ad affermarsi con la parola e il linguaggio, solo botte e minacce. Considerato la sua estrazione sociale frequenta solo persone simili a lui; una di queste per il suo compleanno gli regala un coltello a serramanico. Un giorno un estraneo passante inavvertitamente lo urta per strada, ne nasce una discussione che immediatamente degenera, il Nostro estrae il coltello e lo uccide. Quale la causa dell’uccisione del passante? Il Nostro, il Tizio che gli ha regalato il coltello o i genitori tossicodipendenti? Evidentemente un tribunale qualsiasi decreterebbe che la responsabilità di causa spetta alla libera scelta del Nostro. Ma è falso, è una contraddizione in termini, o meglio è vero solo normativamente. Si isola un lasso di tempo, e ci si mettte una bandierina con scritto “causa”.

  4. Concordo sulla non scientificità del concetto di “causa”. Di esempi se ne possono fare altri. Un giocatore di scacchi fa una mossa, poniamo alfiere in D4. Qual è la causa della mossa?

    1. Lo stile di gioco: il giocatore è aggressivo, mettere lì l’alfiere lo espone dei rischi, ma con un po’ di fortuna può mettere il re sotto scacco in poche mosse.

    2. Il maestro che il giocatore ha avuto da piccolo, che gli ha insegnato che in quella situazione è opoortuno muovere quell’alfeire.

    3. La logica. Mettere l’alfiere in D4 è l’unica mossa che permette al giocatore di non perdere alcun pezzo.

    Eccetera.

    Nell’equazione del gas perfetti, a temperatura costante a un aumento di pressione corriponde una diminuzione del volume. Ma non è che l’aumento di P sia causa della diminuzione di V: la cosa puà leggersi ugualmente bene dicendo che è la diminuzione di V a detreminare l’aumento di P. Quello che conta, appunto, è la relazione reciproca delle grandezze fisiche in gioco.

  5. Mi sembra che si stiano trasponendo dei piani differenti. Un conto è la causa nella fisica classica, che si esprime sempre con una relazione lineare tra una variabile (univoca) indipendente e l’effetto di tale collegamento; altro, è la relazione che si vuole contenuta in rapporti di tipo sociale, economico e caotico in genere, dove a uno o più effetti può corrispondere un’altrettanta molteplicità di variabili indipendenti o cause. Sull’opportunità per l’uomo di evolversi nel senso di comprendere la complessità e il caos come stato naturale delle cose, avevo già cercato di ragionare qui ….

  6. Lector fatico a concepire tale differenza. Oggi mi concedo una citazione colta via… “se tutte le azioni non sono costantemente unite ciascuna col proprio movente, l’incertezza cui qui andiamo incontro non è maggiore di quella che possiamo riscontrare ogni giorno nelle azioni della materia, dove, a causa della mescolanza e dell’incertezza delle cause, l’effetto risulta spesso a sua volta variabile ed incerto” Hume, Estratto del Trattato sulla natura umana, Laterza, Roma-Bari 1999, p. 97

  7. @–>Zar
    Non sono la persona più idonea per spiegarla. Ci vorrebbe un matematico o un fisico.
    Io ci provo con un modestissimo esempio, (abbiate pietà!): radice di 4 può essere +/- 2. L’ordinata nella funzione che collega le due variabili, non è univocamente determinata né determinabile. E siamo appena a un secondo grado.

  8. Ben venuto a bordo 🙂 😉
    Il concetto di causalità che mi tormenta ormai da più di vent’anni. Tra le altre cose una che mi ha sempre affascianto è la relazione linguistica tra causale e casuale.
    La posizione che attualmente sento più vicina (guarda un po’) è di derivazione evoluzionistica. Il problema che ci si poneva era di intrepretare vantaggiosamente gli eventi che fossimo in grado di riconoscere…in termini ancora più semplici se un evento ti piace e riesci a farlo ripetere (in quanto ne agevoli le condizioni) ne trai un vantaggio, se invece ti affanni e non lo “riproduci” ne avrai un danno. Porlo in maniera negata è talmente ovvio che mi risparmio di enunciarlo. Giungere alla comprensione delle “cause” è stato il motivo di studio di migliaia (o più se preferisci) stregoni, sciamani, sacerdoti e al fine scienziati.
    Nelle società strutturate è fin troppo ovvio che vantare può già di per se costituire un vantaggio già talmente ampio che nella teoria dei giochi viene solitamente usata come uno dei primi esempi.
    Persino alcuni scienziati hanno usato questo desiderio innato di comprendere come “facilitare” un evento per “dimostrare la capacità di apprendimento” di piccoli roditori ecc…
    Concludendo apprezzo la analisi esposta (anche questo non credo ti sorprenderà) ma rovescio la tua tesi finale, ovvero non è la causalità ad essere

    normativo, sociale, variabile

    ma essendo frutto della valutazione di un essere senziente che si nutre di quei concetti non può fare a meno di utilizzarli come filtri per l’interpretazione ed il soggiogamento dei risultati che mano mano si presentano.
    Un sorriso

  9. il più cattivo,

    che dire allora della relazione linguistica tra “caso” e “caos”? ti consiglio di leggere l’omonimo libro di Ruelle.

    Ivo,

    Mach è stato un grande pensatore “ontologico”, e la fisica teorica deve ancora tener conto di alcune sue profonde considerazioni. Tuttavia nel ‘900 abbiamo scoperto per varie vie che la fisica studia soltanto il rapporto tra un osservatore e il sistema sotto esame. Quindi, nel momento in cui uno speriementatore scalda consapevolmente una pentola a pressione, è l’aumento di temperatura a causare l’aumento di pressione, non viceversa. Questo è del tutto in linea con la tua idea “normativa” del concetto di causa.

    Zar,

    la giustizia, come anche la politica etc., per fortuna non si basa sul metodo scientifico ma su altre categorie: la ragion di stato, il principio di precauzione etc. In particolare, la giustizia in un paese occidentale non dovrebbe nè agire per eliminare la causa, nè per “punire” il reato, ma solo a dare l’opportunità al colpevole di riscattarsi.

  10. Devo farti i miei complimenti, Ivo. La mia allergia per la filosofia e l’epistemologia della scienza e’ ben risaputa eppure leggo sempre i tuoi post con interesse. Riesci a prospettare i problemi senza l’aria di superiorita’ che hanno molti sedicenti “filosofi”, approcciando pacatamente da un punto di vista “informale” e rendendo la cosa interessante e quasi mai noiosa. Credimi, non e’ da pochi, e non sono il tipo facile a far complimenti.
    Quasi quasi ti linko… 😀

  11. @ tomate: carino!!! Per il libro terrò presente il suggerimento. Nella mia visione caso e caos sono molto più vicini di “casuale” e “causale”.
    … non male la tua chiusa in risposta a Zar.
    Se fossi un cabarettista ti chiederei di potermela rivendere! 😎

    Un Sorriso

  12. io sono sempre più convinto che charles schulz abbia detto tutto, e la filosofia non è altro che una serie di glosse ai peanuts (10 punti per chi coglie il giochino-citazione).

    c’è una strip dove lucy van pelt ha qualche ubbia e sbraita che bisogna dare la colpa a qualcuno, trovare un caprio espiatorio.

    e un’altra in cui sempre lucy, in versione dietro il banchetto da psicoterapeuta, dice a charlie brown che sua sorella (di lui) sally ha dei problemi e la colpa è di charlie. perché ogni generazione deve sempre poter incolpare dei propri errori la generazione precedente.

  13. Si può fare a meno del concetto di causalità? Mah, non sono un filosofo, ne’ un fisico teorico, ma mi sembra che l’ipotesi di Mach non sia generalmente applicabile.

    Se la relazione fra le due grandezze temperatura e pressione fosse una semplice relazione biunivoca, si potrebbe invertire a piacere. Invece, c’è la maledetta entropia che ci complica la situazione. Se vogliamo riportare ordine e struttura in un sistema termodinamico, dobbiamo “faticare”.

    Inoltre, mi sembra di ricordare una serie di articoli su “Le scienze” di qualche anno fa sul problema del “perché il tempo fluisca in una certa direzione e non in un’altra” e sul concetto di asimmetria dello spazio-tempo. E in parte questo ha a che fare con il concetto di causalità. Erano in effetti articoli fisico-filosofici piuttosto complicati, ma mi sembra di ricordare che gli autori fossero ben lontani dal rinunciare al concetto di relazione causa-effetto. (se ritrovo il riferimento, ve lo posto qui).

    Insomma, prima di abbandonare il concetto di causa “tout-court”, io ci andrei cauto!

  14. Mea culpa: non dovrei pubblicare certi post quando so che poi non ho il tempo di seguire come vorrei la discussione 🙁

    @Zar: Un tribunale giudica la responsabilità, che è sicuramente qualcosa di simile alla causa, ma è appunto simile, non la stessa cosa.

    @lector: La complessità sicuramente complica le cose (scusa la banalità, ma non trovo altre parole), ma il problema (messo in luce da Mach e Toraldo di Francia – non due filosofi nel senso classico del termine) è un altro e viene prima della complessità. Anche in un sistema semplice non è che un fenomeno è causa di un altro fenomeno, ma sono entrambi sullo stesso piano: siamo noi che ci mettiamo il nostro punto di vista e stabiliamo che X è la causa e Y l’effetto.
    Poi non succede nulla di grave e si può andare avanti come si è sempre fatto…

    @il più Cattivo: Molto interessante la tua lettura evoluzionistica.

    @tomate: Sì, lo scienziato (vabbè, il professore di scienze: non credo che al CNR studino ancora l’equazione dei gas perfetti) scalda il gas e misura l’aumento di pressione. Controlla la temperatura e misura la pressione.
    L’aumento di temperatura è causa dell’aumento di pressione – non ci sono problemi, se ci si ricorda che in queste descrizione c’è la pesante presenza dello sperimentatore (che poi, come già detto, anche se uno se lo scorda non casca il mondo, almeno per la legge dei gas perfetti).

    @Tupaia: Grazie: sono felice che queste mie riflessioni vengano apprezzate anche da chi, per citare le tue parole, è allergico a filosofia e epistemologia!

    @alex: Riesci a mandarmi i riferimenti?
    (i 10 punti li lascio agli altri: immagino che non sia corretto partecipare, visto che la laurea in filosofia potrebbe valere come doping 😉 )

    @knulp: Interessante.
    Ci dovrei riflettere (e documentarmi) un po’, ma a naso direi che sono due problemi diversi. Possono avere sistemi che hanno comportamenti temporalmente asimmetrici (si dice così? comunque: idrogeno e ossigeno con scintilla mi danno acqua, l’acqua difficilmente mi da idrogeno e ossigeno) anche senza pensare a una causa e un effetto, ma restando sempre a grandezze o fenomeni correlati.
    Sull’abbandonare il concetto di causa: a prescindere dalle intenzioni di Mach e di Toraldo di Francia, le mie intenzioni sono di lasciare il linguaggio così com’è. Mi accontento di mettere delel bandierine: attenzione, quando parliamo di causa pensiamo a un andamento normale o frequente delle cose – ricordiamocelo prima di romperci la testa se la finestra l’abbia rotta il sasso o la forza di gravità.

  15. @–>Ivo
    …mmmmm… ok, se è per questo anch’io sono convinto che la matematica non esista a priori, ma sia solo un adattamento evolutivo mentale umano funzionale per interfacciarci con l’esistente … tuttavia vorrei farti notare che – in un contesto tridimensionale – c’è il “prima” e “il dopo”: una biglia che colpisca un’altra biglia, giocando a boccette, è – con elevata probabilità – causa dell’effetto di movimento che provoca. Se poi, però, cerchiamo di ragionare in termini quadridimensionali, dove spazio e tempo sono concetti tra loro relativi, probabilmente non saremo più in grado di anteporre un fenomeno all’altro e definire quale dei due sia in realtà la causa ….

  16. In realtà, se saliamo a ritroso la catena di eventi, nemmeno il terremoto, in sè, può essere considerato la causa prima, bensì la conformazione della crosta terrestre, che è in questo modo a motivo della struttura della Terra, che dipende dalla quantità e qualità di polveri cosmiche che si sono compattate e…dipende, in ultima istanza dalle proprietà di materia e energia (sia oscura che chiara). Direi, allora che la causa più prossima è il sasso e quella più remota il big bang. Il terremoto è forse quella che più facilmente possiamo individuare coi sensi. Ma in questo mondo non c’è nulla di chiaro e definito? Sarà mica il multifattorialismo?
    Attento Zar che già un giudice t’ha preso in parola: c’è la disposizione genetica all’aggressività, e è sempre un’attenuante. Se continua così eliminiamo il problema del sovraffollamento! 😉
    bye

  17. @ alex (e anche in senso lato @ tomate ): “c’è una strip dove lucy van pelt ha qualche ubbia e sbraita che bisogna dare la colpa a qualcuno, trovare un capro espiatorio”: esatto un capro espiatorio alla Girard. Renè Girard: imperdibile.

    @ Knulp “prima di abbandonare il concetto di causa “tout-court”, io ci andrei cauto!” Nessuno vorrebbe fare una cosa del genere, semplicemente perchè “non potrebbe”. La causalità è una categoria trascedentale, o come dice Lector “un adattamento evolutivo mentale umano funzionale per interfacciarci con l’esistente”. Però…

    @ Ivo Complimenti. Sono convinto che non vi sia argomento più cogente di questo in ambito filosofico (cosa per altro certificata dall’ossessione de @ il più cattivo che non spende mai le sue ossessioni verso questioni di basso profilo… 🙂 )

    @ paopasc tu ci scherzi! (E fai bene). Ma è proprio il punto dove volevo arrivare. Nel contesto penale per preservare l’imputabilità delle azioni e per non cedere alla “assoluta scusabilità di ogni colpa” [WS, 28], l’azione deve essere isolata e non ricongiunta al passato. Altrimenti, per ogni azione malvagia, si dovrebbe punire anche questo medesimo passato: “voglio dire i genitori, gli educatori, la società, ecc.; in molti casi si troverebbero allora i giudici in qualche modo implicati nella colpa” [WS, 28], i quali, per altro, “non disposti a leggere nell’accadere un fluire ininterrotto di fatti, ma atomizzando piuttosto ogni evento come frutto improvviso e isolato del libero arbitrio, si contraddicono ogni qualvolta chiamano in causa il passato delittuoso del criminale per comminargli un castigo” più severo. Se si decreta arditamente che “«nessuna azione ha un passato»”, non ci si può poi appellare alla recidività del criminale, quale motivo di inasprimento della pena; ed anzi, se proprio ci si vuole appellare, allora lo si dovrebbe fare come motivo attenuante: “l’abitudine dovrebbe comunque far apparire più scusabile la colpa per il fatto onde il delinquente viene punito: è infatti sorta un’inclinazione alla quale è più difficile resistere. Invece egli, quando sussiste il sospetto di reato abituale, viene punito più duramente; l’abitualità viene fatta valere come motivo contro ogni mitigazione” [WS, 28].
    Le citazioni sono quelle tradizionali della bibliografia nietzscheana.

  18. di’ Zar, ma non s’è sempre detto, a ragione, che ciò che ci distingue dagli animali è una sorta di ‘libero arbitrio’? Te la sentiresti di condannare quel pitbull che aggredisse e ferisse a morte un bambino, dicendo che non ha scelto correttamente? Ma se lo facesse un umano che penseresti? Mi vengono in mente due ipotesi: non sapeva cosa faceva (intendere e volere) oppure sapeva cosa faceva. In entrambi i casi lo lasci libero? In un caso c’è la cura, ma anche la reclusione, nell’altro c’è la reclusione. In quello che ha scelto e intende e vuole tu dici: fino a che punto è in gradodi opporsi a questa sua scelta? Sappi che non cerco assoluti: gli comincio a chiedere se sa in che anno siamo, come si chiama, se si crede Napoleone e così via. Mi avvicino per gradi a una sorta di giudizio: sì è nel percentile di quelli che intendono no non lo è. Ma non gli chiedo nè di essere Godel nè di essere lo scemo del villaggio. Gli dico: sai che hai ucciso? sai che uccidere è proibito (in linea di massima)? Io non decreto arditamente che il passato non ha importanza, e nemmeno il giudice lo fa, se esistono le attenuanti. Però esistono anche le aggravanti: anche qui delle due l’una: sapevi cosa facevi l’ultima volta che commettevi reati? se si intendi se no, colpa mia che non ti saputo o curare o limitare. Perchè anche un inconsapevole è pericoloso e il bene sociale è quello maggiore (non sempre).
    😉 bye Zar
    (tu si tosto, ma che t’ha fatto quel Nietzsche? 😉
    ahahahah)

  19. @ paopasc per risponderti brevemente: non credo che tu sia più libero di un pittbul nel fare quello che fai, credo solo che l’equazione il cui risultato è l’azione che compi, nel tuo caso è più complicata che quella del pittbul, ci sono molti più termini e variabili (sai bene che quello che non comprendiamo lo chimiamo magico, mistico, illogico o anche “arbitrario”).Le tue azioni dunque sono altrettanto necessarie quanto quelle del pittbull…
    “Colpa mia che non ti saputo o curare o limitare. Perchè anche un inconsapevole è pericoloso e il bene sociale è quello maggiore (non sempre)”: esatto. Questo è il punto “l’uomo non può che perseguire il bene – che egli reputa – maggiore per lui”, solo che – molto socraticamente se vuoi – alle volte si sbaglia… in questo senso è fondamentale il paternalismo di cui dici, e di cui qui si sono già spese molte (ma non troppe) parole…

  20. @Zar: Caffè pagato.

    Sabato pomeriggio accompagnerò i miei bimbi alla festa per Halloween al castello dei ragazzi. Se ti va possiamo prenderlo davvero un caffè insieme….

    P.S. ovviamente tutti i sostenitori di Ivo sono invitati (per Ivo e signora… va beh eccezionalmente anche loro).

    @ paopasc: in un mondo di sola materia avresti torto (…scherzo!!!).
    Per quanto riguarda il libero arbitrio come discriminante tra uomo e bestie (come sopra) è un bel cane che si morde la coda (la sua?) ma quando lo fa non lo fa in modo intenzionale
    …risparmio ai ivo-fedeli i soliti riferimenti.

    @Ivo: vedi cosa succede a farmi i complimenti (immeritati) mi imbuonisco ed è tutta colpa tua
    Un sorriso

  21. Zar e IlpiùCattivo se vi fa paura il sintagma libero arbitrio lo chiamiamo gigi. Così, un termine abbastanza nobile e poi si ricorda bene. Non voglio attribuire all’umana specie una capacità decisionale che sarebbe solo di un semidio, ma, poffarbacco, un po’ più di quella di un cane gliela concedo. Il gigi non è l’espressione di un controllo illimitato del genere tutto o nulla. Intendetelo così: gigi è un’interferenza continua sull’agire puramente emotivo. E questo agire emotivo è il modo di manifestarsi della coscienza primaria, quella motori-corporeo, quella a un solo grado di intenzionalità, la qual cosa significa che non posso mettermi nei panni di un ipotetico osservatore e fare queste ipotesi -ma se lo colpisco a morte, mi becco l’ergastolo. Chiaro, non sempre è possibile ragionare a freddo in un momento di caldo. Vedilo, gigi, come un aumento dei filtri tra l’ingresso sensoriale e l’uscita motoria. Avete presente il lavoro di Greene di cui parlo da me e le interferenze emotivo-emotivo e cognitivo-cognitivo? Quanto più spostiamo sul versante emotivo tanto più siamo animali incontrollabili, quanto più ci spostiamo su quello cognitivo tanto più siamo ‘imputabili’. Avete presente la differenza tra premeditato e preterintenzionale?
    Ciò detto, ah dimenticavo Il più cattivo se ridici che in un mondo di sola materia avrei torto ti faccio diventare il più steso (ahahahahah scherzo anch’io ahahahaha)
    vi saluto: mi fa piacere discutere con voi!
    bye

  22. @ paopasc: Carina la battuta !!
    Meglio dell’analisi dualistica!!!
    Uscendo dagli scherzi (sempre graditi finchè graziosi dome questi) debbo battere un colpo denunciando la mia ignoranza riguardo le tue citazioni… Se ho capito correttamente dovrei trovarne sul tuo sito… spero di trovare tempo per poterne godere compiutamente…
    Un sorriso

  23. for the more cattiv
    Si lo so è una schifosissimo mezzuccio ahahahaha
    ma vedo che anche tu hai un sito…muahahahaha
    mo’ ci faccio un salto
    bye

  24. si ha un sito ma oltre che il più cattivo è il più pigro 😉 (quale sarà la causa lontana della scarsità di post del più cattivo?)

  25. @ paopasc il titolo della mia tesi avrebbe avuto un titolo molto più accattivante: “Nietzsche e Gigi” 🙂 🙂

    @ il più cattivo Caffè pagato incassato. Ma un’altra volta, perchè Sabato devo potare la siepe in giardino (si accetta manodopera: io pago).

    Circa il “caffè pagato”, lo sapevate che… fino alla prima metà del Novecenta a Napoli c’era l’usanza del benemerito secondo caffè pagato? In parole povere, entravi in un bar, consumavi il tuo caffè e ne pagavi due. Era un abitudine abbastanza diffusa, il cui scopo era quello di permettere a chiunque di bersi un caffè anche quando non aveva spicci in tasca: in effetti qualcuno lo aveva già pagato per lui, e lui a sua volta a qualcun altro.
    Storia di geniali follie partenopee.

  26. @alex: la pigrizia!!! anche il lavoro e la famiglia….
    In realtà la mia assenza in quanto a produzione di nuovi post è legata fondamentalmente alla mancanza di “idee innovative”. Cerco di inserire qualcosa nel gruppo su aNobii… Cerco di impegnarmi nel sociale con la scuola dei bimbi… ed in più trovo molto più comodo (la pigrizia!!!) apporgiarmi ai post altrui.
    Spero di riuscire a rilanciarmi presto, il problema è trovare una finestra all’altezza giusta.

    P.S. Quale cadenza e quale lunghezza di post (o quale altra metrica) potrebbe salvarmi dall’accusa di pigrizia… (ecco ne farò un post stasera … e qui scatta la pigrizia).

    Grazie ad Ivo per l’ospitalità!

  27. @–>Zar
    Guarda che quell’usanza esiste ancora, ed è bellissima, un esempio di civiltà che sarebbe da imitare ovunque. Si chiama “Caffè sospeso”, ma viene utilizzata anche per il pane, per il latte ed altri generi di prima necessità. Quando paghi la tua consumazione, avverti l’esercente che vuoi pagare anche un “caffè sospeso”, o due panini o il latte. Quando più tardi passa una persona indigente, chiede all’esercente se c’è un “sospeso” e quello gli consegna o gli somministra il caffè o il pane, o quant’altro, che qualcuno aveva lasciato già pagato. La trovo una maniera stupenda di aiutare il prossimo senza umiliarlo (e senza chiedergli che in cambio si converta alla tua religione).

  28. Evito accuratamente la questione del libero arbitrio. Non perché non sia interessante, ma perché voglio cercare di mantenere i commenti, appunto, commenti al post, non libere discussioni. Quindi, se ne riparlerà in altra occasione.
    Se non fossi pigro costruirei un forum in una sezione del sito ma, appunto, sono pigro.

    @lector (#15): La prima biglia colpisce la seconda biglia, la prima si ferma e la seconda inizia a muoversi. È indubbio che il moto della prima biglia e l’impatto siano eventi correlati con il moto della seconda biglia.
    È problematico, secondo Mach, affermare che la prima biglia sia la causa del moto della seconda, appunto perché la prima biglia è uno dei fattori coinvolti, insieme al materiale, all’assenza di ostacoli, a ciò che ha messo in moto la prima biglia e così via.
    Quando affermo che il concetto di causa è soggettivo non intendo dire che potrei affermare che è la seconda biglia ad aver causato il moto della prima o che la biglia si è messa in movimento per far felice lo sperimentatore. Per come è presentato l’esperimento, è la prima biglia la causa, non si scappa.

  29. @–>Ivo
    Intendi dire che non si può affermare in maniera categorica che la prima biglia sia univoca causa del moto della seconda, ma che tale affermazione dipende da una mia scelta soggettiva tra i vari fattori che invero determinano tale moto?

  30. @lector: Confermo: è come io interpreto Mach (e penso che sia interpretazione corretta, ma dovrei andare a consultare i sacri testi, e non ne ho tempo).
    Aggiungo che è più che altro un problema per filosofi della scienza, non per scienziati veri.

  31. Penso che il concetto di causa, ci riporti inevitabilmente a discutere di “causa prima”. Teniamo presente che non esiste tutt’ora una teoria che spieghi che cosa sia in effetti il moto: perché c’è l’attrazione universale? Cos’è la gravità? Cosa determina il movimento delle particelle sub-atomiche? Che legame c’è tra fisica classica e fisica quantistica?
    (Almeno questo è quello che ho imparato seguendo gli interessantissimi programmi di quel simpatico pennellone di Roberto Giacobbo 😀 )

  32. C.V.D.

    @lector: per cortesia quel “pennellone” ha già inflazionato la TV, cerchiamo di non trascinarcelo appresso.
    Prendendo sul serio la tua serie di domande, mi sorge un dubbio esistenziale, perchè mai hanno dato un nobel a Richard Feynmann?

    Un sorriso

  33. intanto io ho provato a cercare quei riferimenti sul capro espiatorio di lucy ma ancora niente. i veri testi sacri sono una lettura corposa e impegnativa (50 anni, quotidianamente…) 😉

  34. Possibile che in tutti questi interventi nessuno abbia tirato in ballo il famoso principio di indeterminazione? Lo conosco anche io che non ho alcuna preparazione scientifica. La soluzione del problema del concetto di causa è molto semplice perché questo concetto (ed il concetto relativo di “effetto”) semplicemente NON esiste. Tutto ciò che avviene in natura è assolutamaente indeterminato, cioè casuale, almeno al livello degli elementi fondamentali. Gli eventi si producono secondo maggiore o minore probabilità. Quelli che hanno grande o grandissima probabilità di verificarsi sono considerati dall’uomo come prodotti da una causa determinata solo perché il non verificarsi del fatto costituisce una eventualità talmente rara che non avviene pressochè mai. Leggetevi “Fisica e filosofia” di W. K. Heisenberg e rilassatevi. E lasciate perdere Giacobbo!!

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