Non molto tempo fa scrissi a proposito del concetto di causa, cercando di mostrarne la natura almeno parzialmente normativa: affermare che un certo fenomeno è causa di un altro significa assumere la normalità o legittimità di un certo stato i cose.
La cronaca recente ha presentato quelle che, a me, sembrano essere delle conferme di questa tesi.
Quanti morti?
Quanti morti provoca ogni anno l’influenza? E, soprattutto, come vengono contati?
Leggiamo quello che scrive, su Darwin flu, Gianfranco Bangone:
Per la mortalità […] vengono segnalati i decessi ospedalieri dovuti a influenza quando quest’ultima è confermata dall’analisi del tampone. Ovviamente il censimento di questi decessi non rileva la cosiddetta «mortalità ritardata», ad esempio quando l’influenza può aver innescato altre patologie oppure le ha inasprite se preesistevano. In questi casi abbiamo una causa scatenante – l’influenza – ma l’esito infausto si presenta più tardi per cui viene attribuito all’ultima causa conosciuta (in genere in simili situazioni il tampone è sempre negativo a causa del tempo trascorso tra l’influenza e il successivo decesso). […]
Per ovviare all’inconveniente si ricorre a un secondo metodo di rilevazione, quello della «mortalità in eccesso» che viene misurata anni dopo. Nei vari mesi dell’anno abbiamo un fondo «naturale» di mortalità, ovvero un certo andamento dei decessi che presenta delle regolarità. Durante la stagione influenzale il numero dei decessi cresce rispetto al fondo naturale che si presenta in quel periodo, per cui il valore sopra la soglia viene elaborato con complicati modelli matematici e alla fine avremo un valore della mortalità associata all’influenza: circa 7.000-8.000 casi all’anno, di cui circa 2.000 addebitabili direttamente all’influenza e alle polmoniti.
Abbiamo una situazione normale o naturale (quello che viene chiamato «un certo andamento dei decessi») e la differenza tra il periodo influenzale e questa normalità viene attribuito all’influenza. Un approccio statistico molto interessante.
Il lancio
Dopo un comizio in piazza Duomo a Milano, il Presidente del Consiglio si concede un bagno di folla. Una persona mentalmente disturbata, Massimo Tartaglia, gli si avvicina e gli lancia una statuetta souvenir del Duomo di Milano, ferendolo.
Che cosa ha causato il ferimento?
L’assalitore, Massimo Tartaglia? L’assalito, Silvio Berlusconi, che si è imprudentemente esposto al pericolo? Le guardie del corpo, che non sono riuscite a fermare l’assalitore? Il clima di odio?
Tutto dipende da quella che è la normalità. È normale che il primo ministro venga odiato da una parte della popolazione? È normale che una persona mentalmente disturbata possa voler ferire il primo ministro? È normale che una persona mentalmente disturbata riesca ad avvicinarsi al primo ministro? La mia personale simpatia va verso quest’ultima anormalità.
La domanda sulla causa è diversa da quella sulla responsabilità dell’evento, che è – e non può che essere – di Tartaglia. Si può riconoscere che a causare l’incidente sia stato il clima d’odio senza per questo voler, o poter, accusare chi alimenta questo clima.
La spinta
Durante la messa di Natale, Susanna Maiolo scavalca le transenne per avvicinarsi al Papa. Intervengono le guardie del corpo e il Papa cade.
Ancora una volta, chi o che cosa ha causato la caduta di Benedetto XVI (e del cardinale Roger Etchegaray)?
Susanna Maiolo? L’imprudenza di Benedetto XVI? L’intervento delle guardie del corpo?
Di nuovo, dipende da cosa vogliamo considerare come situazione normale.
Ti sei dato ai giochi di parole?
Entrando (o tornando) sul tema, non ricordo se in qualche modo abbiamo mai discusso di QED (si la … temutissima elettrodinamica quantistica). La lettura (intorno a metà del decennio scorso) del magico libro di Richard Feynmann mi scosse tra gli altri motivi proprio per il rovesciamento del concetto “intuitivo” di causalità. Tieni presente che per quanto ci si sforzi di considerarlo un libro divulgativo non è certo un romanzo d’appendice ma un testo di fisica piuttosto complesso.
In concreto (Feynmann mi perdoni) il concetto di causalità veniva associato alla partecipazione alla trasformazione abolendo il concetto di sequenzialità temporale.
La mia proposta è di dividere in modo netto l’analisi tra effetto (fisico) e responsabilità (morale, legale ecc…)
Quindi se da un lato la presenza di un virus è concausa (fisica) di malattie cui alcuni non sono riusciti a sopravvivere, la gestione sociale della sanità (morale, legale ecc…) esulano da considerazioni strettamente “fisiche”. Qui più che conoscere i sicari possiamo arrivare direttamente ai committenti….
Sulle altre situazioni continuerò il mio silenzio
Un Sorriso
@il più cattivo: Adoro i giochi di parole.
La “mia” critica al concetto di causalità è precedente alla rivoluzione della meccanica quantistica (Ernst Mach).
L’idea della critica è che il concetto di causalità è invischiato di normatività ed è una variante di quello di responsabilità. Non tenere presente questo potrebbe portare a considerare come oggettivo e certo quello che è un concetto sfumato e socialmente variabile.
Buon anno!
@ Ivo: mi piacerebbe tornare sulla variabilità “sociale”.
Buon Anno anche a te, famiglia e tutti i frequentatori del tuo blog
Un Sorriso
Buon anno a tutti!
Scusate se vado subito off topic, ma vorrei suggerire un tema che mi interessa particolamente discutere con voi. Esiste un certo luogo comune che vorrebbe gli atei persone razionali e sicuramente non facilmente abbindolabili da ciarlatani, fattucchiere, pseudoscienziati e altra gentaglia. La mia impressione è che oggigiono dirsi atei sia più facile che essere razionali o almeno capaci di distinguere un’affermazione fondata logicamente o scientificamente da una che non lo è. Non tutti sono di questo avviso. Nel blog de Il Laicista ho già commentato, mi piacerebbe sentire la vostra in proposito.
🙂
La natura metafisica del concetto di “Causa”, ha creato sempre un certo fastidio nell’ empirista che si trova quindi costretto a sostituirlo con il concetto di “correlazione” (Hume, Mach…).
Il problema è che il concetto di “correlazione”, in assenza di quello di “causa”, non sembra del tutto idoneo a designare un’ attività conoscitiva (problema di Gettier), status a cui la scienza non dovrebbe rinunciare.
Personalmente rinuncierei all’ elaborazione di concetti nominalisti, controintuitivi e dall’ utilità vaga, preferisco a questo punto veder inserita la scienza all’ interno di un quadro metafisico continuando ad utilizzare il concetto di causa e considerando il grado di correlazione come una misura di avvicinamento alle cause.
@il più cattivo: Prima o poi ci tornerò, sulla variabilità sociale.
@Il dizionario dei cazzari: Tema interessante. Ma poco filosofico, temo: se si è davvero interessanti alla risposta, basta chiedere a un sociologo se ci sono ricerche in proposito.
@Broncobilly: Vedo che nessun altro ha risposto.
Scrivi che il concetto di correlazione in assenza di causa non è idoneo alla conoscenza. A me sembra che il concetto di correlazione non si adatti a costruire o giustificare il concetto di causa – e non mi sembra un problema! Non vedo problemi in una attività conoscitiva basata sulla correlazione.
eh, le teorie … seocndo me e’ piu’ proficuo cercarne i difetti piuttosto che le conferme 😉
@francesco: Per i difetti ci siete voi lettori 😉