Una buona notizia per il caro-bollette. Una brutta notizia per il giornalismo

Farà caldo fino a novembre, o almeno così prevede Antonello Pasini, primo ricercatore CNR e docente di Fisica del Clima all’Università di Roma Tre.

Fatte le doverose premesse sull’incertezza di previsioni a lungo termine, Pasini spiega in un’intervista che questo caldo anomalo “se può in qualche modo essere una buona notizia per la questione dei riscaldamenti e il relativo problema energetico, non è per nulla una buona notizia per quanto concerne eventi climatici estremi come grandinate e piogge torrenziali” e questo a causa di “infiltrazioni di correnti fredde e l’incontro di queste con il caldo accumulato”. Pasini conclude con un invito all’azione, limitando i danni dovuti al riscaldamento globale e cercando di ridurre le emissioni.

Ora, visto il rischio rappresentato da nubifragi e grandinate sia per l’agricoltura sia per un territorio fragile, voi su cosa titolereste? Una agenzia di stampa (copia permanente su Archive.org per non regalare clic inutili) ha puntato tutto sui possibili risparmi di gas:

Una buona notizia per il caro-bollette: farà caldo fino a novembre

Antonello Pasini, primo ricercatore Cnr e docente di Fisica del Clima presso l’università degli Studi Roma Tre: “Le prossime settimane vedranno temperature elevate, spinte all’insù dall’anticiclone africano

Sembra quella barzelletta del coniuge che annuncia la distruzione dell’auto col fatto che si risparmiano i soldi del cambio dell’olio, ma il fatto che quell’agenzia di stampa sia proprietà del gruppo ENI rende la cosa meno divertente.

Come diventare vegani senza averlo deciso

Premessa: sono fondamentalmente onnivoro, oltretutto con poco rispetto per le tradizioni culinarie: mangio di tutto, pronto ad assaggiare anche la carbonara con la panna o con il tofu al posto del guanciale – per quanto la ricetta originale rimanga la mia preferita, ma è una questione di gusto, non di tradizione.

Vegetables on sale at a market
Vegetables on sale at a market by Jakub Kapusnak is licensed under CC-CC0 1.0

Mangio di tutto ma quel tutto include quasi sempre piatti a base di carne o comunque con uova, formaggio o altri prodotti di origine animale come ho notato grazie ad amici e conoscenti vegetariani e vegani per i quali è spesso difficile trovare qualcosa da mangiare (e comunque con poche scelte). Tanto da trovare poco attuabile, per quanto sensata e condivisibile, la proposta di Jonathan Safran Foer nel suo bel saggio Possiamo salvare il mondo, prima di cena, appunto di limitare il consumo di prodotti di origine animale al pasto socialmente più importante, la cena, rinunciandovi per colazione, pranzo ed eventuali spuntini.

Tuttavia in questi giorni mi son reso conto di essere passato, senza averlo scelto, a un’alimentazione vegana almeno per buona parte dei pasti – incidentalmente, proprio quelli indicati da Sagran Foer. Da qualche mese faccio colazione con il latte di riso, perché fatico a digerire quello di mucca, e non ho mai avuto l’abitudine di usare burro o mangiare yogurt. A pranzo approfitto della mensa dell’università dove quasi sempre scelgo, perché è quello che più mi ispira, il piatto vegano (mi piacciono molto le verdure e non mi faccio scoraggiare dalla scritta “seitan” o “tofu” nel menù).

Se mi offrono un piatto di costine o una tartare di manzo li mangio molto volentieri eppure – senza averlo deciso per questioni etiche o legate all’ambiente e alla salute – mi ritrovo a seguire un’alimentazione in buona parte vegana. Credo lo si possa considerare un importante cambiamento (in meglio) di mentalità, rispetto a quando una mia amica doveva togliere a mano il prosciutto dal toast ordinato al bar…

L’emergenza climatica in televisione

photo of brown bare tree on brown surface during daytime
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È Greenpeace, associazione ambientalista che non riscuote le mie simpatie, ma la ricerca è stata condotta dall’Osservatorio di Pavia e mi pare interessante: quanto e come si parla dell’emergenza climatica nella televisione italiana?

Ci sono due rapporti, uno per i telegiornali e l’altro per le trasmissioni di approfondimento, disponibili sul sito di Greenpeace che propone anche una sintesi.

In sostanza, di cambiamento climatico si parla poco (meno di una notizia su cento per i TG; poco più del 6% per gli approfondimenti) e quando se ne parla è soprattutto a partire da eventi climatici o fenomeni naturali; le cause vengono citate raramente nei telegiornali mentre sono riportate in metà delle trasmissioni di approfondimento; le conseguenze sono perlopiù ambientali, solo raramente sociali, economiche o sanitarie.

Un rapporto simile era stato fatto per i quotidiani (ma me l’ero inizialmente perso), con risultati simili.

Ora, Greenpeace punta il dito sulla dipendenza dei media dalle aziende inquinanti. Che certamente c’è e l’indipendenza dell’informazione è un problema che va affrontato (e non solo per le aziende inquinanti). Ma in questi casi mi attengo al cosiddetto “Rasoio di Hanlon” che impone di non attribuire (soltanto) a malafede quello che può essere attribuito alla stupidità o meglio alle difficoltà nel raccontare l’emergenza climatica. Che è una cosa complessa in praticamente ogni aspetto, dai meccanismi climatici alle conseguenze alle possibili soluzioni. Devi semplificare senza banalizzare, spiegare le responsabilità senza colpevolizzare le persone ma anche senza assolverle dando la colpa ad altri. E tutto questo con un sistema mediatico che è pensato per informare su eventi puntuali come crisi politiche o guerre.

Triplice ricatto

Non mi è chiaro quale sia il senso di questa operazione, se sia un raffinato esperimento sociologico o un semplice espediente per racimolare un po’ di denaro, comunque un tizio, scovato grazie a rosalucsemblog, minaccia di bruciare una copia della Bibbia, una del Corano e una foresta.

Voi cosa salvereste?

La scommessa climatica

Attenzione scienziatoÈ curioso come le questioni scientifiche, ossia quei problemi che riguardano alcuni scienziati, gli esperti di quella disciplina lì e non di altre, e che vengono dibattuti, anche ferocemente, a suon di teorie, modelli, esperimenti, simulazioni e calcoli, simili problemi, dicevo, è curioso che abbiano declinazioni politiche e sociali.
Non è curiosa la declinazione in sé, elemento fondamentale in una democrazia: lo scienziato non vive in un limbo isolato e per poter fare ricerca deve battere cassa e chiedere fondi, ed è ovvio che chi allenta i cordoni della borsa lo faccia dopo aver valutato cosa finanzia. La cosa curiosa non è dunque che la società si occupi di scienza e valuti l’opportunità sociale ed economica di condurre certe ricerche invece di altre: la cosa curiosa è che i risultati delle ricerche vengano valutati in base a questioni politiche e sociali.

Qualcuno lo definirebbe un atteggiamento postmoderno e relativista: “non esistono fatti ma solo interpretazioni”, e quindi interpretiamo liberamente come ci pare, lasciando da parte i fatti, ridimensionandoli al livello di opinioni. Continua a leggere “La scommessa climatica”