L’immortalità è in un bunker anti-atomico (Svizzero, ovviamente)

Oggi ho scoperto l’esistenza della Swiss DNA Bank.
Dalle FAQ del sito:

Swiss DNA Bank è un servizio on-line di raccolta e conservazioni dati personali digitali e biologici (DNA). All’interno della tua pagina web sicura personale potrai raccogliere le tue memorie, i tuoi file, le foto e i video. Un sistema di sicurezza a livello bancario garantisce totale privacy. Assieme alle tue memorie puoi custodire nei nostri bunker anti-atomici un tuo campione di DNA.

Quello che garantiscono, a prezzi neppure troppo elevati, è di conservare virtualmente in eterno i miei ricordi (la mia anima) e il mio DNA (il mio corpo), garantendomi, in un certo senso, l’immortalità (per la resurrezione è ancora prematuro, ma non si può avere tutto).

Come primo commento, mi sembrano abbracciare un approccio un po’ troppo deterministico. Intuitivamente, sono convinto che la mia identità sia qualcosa di più dei miei ricordi e del mio codice genetico. Scientificamente, pur non essendo un esperto, sono abbastanza sicuro che queste informazioni non siano sufficienti a creare un altro me stesso in un lontano futuro: nello sviluppo di un essere umano intervengono fattori non riconducibili a dna e che non lasciano traccia nella memoria; fattori, in un certo senso, irripetibili.

In secondo luogo: cosa diavolo se ne potrebbero fare, i miei discendenti, del DNA di un loro lontano avo?

Complessità mortali

Secondo il codice civile, dieci anni dopo la scomparsa di una persona è possibile dichiararla legalmente morta (in caso di guerra o incidenti, gli anni diventano molti meno).
Si tratta forse di una inaccettabile e materialistica riduzione dell’essere persona al fare una telefonata agli amici e organizzare una cena con i parenti? Un attacco laicista alla vita degli eremiti? Continua a leggere “Complessità mortali”

Morte giuridica, morte effettiva

“Domanda degli studenti sulla dottrina della scomparsa: In che cosa consiste la differenza tra un morto apparente, un vivo apparente e uno scomparso?

Risposta dell’insegnante: Finché dura la sua morte appartente, il morto apparente viene considerato definitivamente morto, ma invece è vivo. Da fuori il vivo apparente viene annoverato tra i vivi, mentre dentro è morto. Lo scomparso può essere considerato morto ed essere invece vivo oppure essere considerato vivo ed essere già morto. Nella terra di nessuno tra la vita e la morte egli rappresenta la sintesi delle possibilità del morto apparente e del vivo apparente.

Al riguardo occorre tenere presente quanto segue: giuridicamente lo scomparso viene dichiarato morto senza che si possa dimostrarne la morte reale o biologica. Nel caso in cui continui a vegetare in un’assenza priva di notizie, egli muore di due morti: una giuridica e una effettiva. Anche il morto apparente muore di due morti, a meno che non venga salvato: una apparente, che porta al cessare del battito del polso, e una morte segreta e orribile nella tomba. Al contrario, il vivo apparente non muore di nessuna morte, perché una vita che non è mai stata vera non può sfociare in una morte reale. Per la precisione, in un momento indefinibile, egli muore di una morte interiore che per definitività non è in alcun modo inferiore alla morte medica, il vero e proprio exitus, ma che dai suoi simili non viene riconosciuta né per legge né in alcun altro modo. D’altro canto, questo vale per tutti e tre i casi. Tutti hanno una cosa in comune: la morte principale – se metaforicamente vogliamo distinguere tra loro morte principale e morte secondaria – non viene percepita, dall’esterno, nel momento in cui si verifica, ma o troppo presto, nel caso del morto apparente, o troppo tardi, nel caso del vivo apparente, oppure sia troppo presto che troppo tardi, nel caso dello scomparso.

Ho risposto in maniera esauriente alla vostra domanda?”

Hermann Burger, da Schilten. Schulbericht zuhanden der Inspektorenkonferenz (Schilten. Rapporto scolastico all’attenzione della Conferenza degli Ispettori).
Estratto tradotto da cadavrexquis.

Una morte di m…

Scott Adams, il creatore del fumetto Dilbert, ha una curiosa fobia: teme venir mortalmente colpito dai rifiuti congelati lanciati dalle toilette degli aerei.

Il nostro fumettista è il primo a riconoscerlo: si tratta di un evento molto improbabile. Tuttavia, anche gli eventi improbabili, ogni tanto, accadono e quindi, quando un aereo vola sopra la sua testa, Scott Adams cerca riparo. Continua a leggere “Una morte di m…”

Per tutta la vita

Lei: Ho deciso di morire.

Luiarrabbiato: Ma cosa diavolo stai dicendo?

Lei: Ti prego, stai calmo.

Luisempre più arrabbiato: Stare calmo? Vieni qui e con un sorriso idiota mi dici “ho deciso di morire” e pretendi che io stia calmo?

Lei: Non pretendo nulla: ti chiedo solo di ascoltarmi.

Lui: Sono disposta ad ascoltarti, ma solo se dici cose intelligenti. E i discorsi vaneggianti di quei cretini dei tuoi amici che sproloquiano a proposito di ciclo vitale, rigenerazione, eventi naturali eccetera non sono intelligenti: sono stronzate, idee del cavolo che adesso è di moda seguire. E tu, come una deficiente, decidi di morire! Per cosa, poi? Perché lo fanno tutti i tuoi amici? Perché è figo? Continua a leggere “Per tutta la vita”

Sulla possibilità di conoscere il Tutto

Dalla morte, dal timore della morte prende inizio e si eleva ogni conoscenza circa il Tutto. Rigettare la paura che attanaglia ciò ch’è terrestre, strappare alla morte il suo aculeo velenoso, togliere all’Ade il suo miasma pestilente, di questo si pretende capace la filosofia. Tutto quanto è mortale vive in questa paura della morte, ogni nuova nascita aggiunge nuovo motivo di paura perché accresce il numero di ciò che deve morire. Senza posa il grembo instancabile della terra partorisce il nuovo e ciascuno è indefettibilmente votato alla morte, ciascuno attende con timore e tremore il giorno del suo viaggio nelle tenebre. Ma la filosofia nega questa paure della terra.

Franz Rosenzweig, La stella della redenzione (Der Stern der Erlösung), trad. it di Gianfranco Bonola, Milano, Vita e Pensiero, 2005

Ossimori clinici

Gli xenotrapianti sono i trapianti di organi tra specie diversi, e potrebbero costituire la soluzione definitiva al problema del ridotto numero di organi disponibili.
Escludendo le difficoltà tecniche, sulle quali non sono assolutamente in grado di scrivere nulla di sensato, vi sono numerosi problemi di natura etica. È giusto disporre così del corpo di animali, oppure si tratta di un atteggiamento che Peter Singer chiama, accostandolo al razzismo, specismo (speciesism)? Per procedere con la sperimentazione, è sufficiente il consenso informato da parte del soggetto oppure, data la vastità dei problemi che possono insorgere, è necessario coinvolgere anche le persone che gli sono vicine? Continua a leggere “Ossimori clinici”

Come l’uomo inventò la morte

The Buried SoulTimothy Taylor, Come l’uomo inventò la morte; Newton-Compton, 2006

La morte è un evento naturale, forse è l‘evento naturale, quello a partire dal quale si può definire l’uomo come animale mortale, non nel senso banale che può morire, bensì che pensa alla morte.
Cosa significa dunque parlare di invenzione della morte? Il titolo italiano del libro di Taylor, che è il sottotitolo dell’edizione originale: The Buried Soul: How Humans Invented Death, contiene dunque un piccolo paradosso: l’uomo non può inventare la morte, sia perché questa è un evento naturale, sia perché senza la morte l’uomo non potrebbe definirsi tale.

Il testo dell’archeologo inglese è una lunga ed interessante disamina dei riti funerari umani, di come l’uomo affrontò, e affronta tuttora, il problema dei defunti.
Il tema centrale dell’analisi è l’anima: la morte biologica del corpo non coincide con la morte della persona, la gestione del corpo del defunto, pertanto, non è e non può essere un semplice problema igienico. Questo, ovviamente, non vale solamente per popolazioni cantiche o primitive: anche gli elaborati riti funebri dell’evoluto e laico occidente manifestano gli stessi schemi fondamentali. Continua a leggere “Come l’uomo inventò la morte”

Morte opportuna

Piergiorgio Welby è malato di distrofia muscolare.
Negli ultimi mesi, purtroppo, le sue condizioni di vita sono peggiorate:

Fino a due mesi e mezzo fa la mia vita era sì segnata da difficoltà non indifferenti, ma almeno per qualche ora del giorno potevo, con l’ausilio del mio computer, scrivere, leggere, fare delle ricerche, incontrare gli amici su internet. Ora sono come sprofondato in un baratro da dove non trovo uscita.

Così scrive Welby nella lettera al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il tema della missiva è l’eutanasia, definita non morte buona o dignitosa, come vorrebbe l’etimologia, bensì morte opportuna, perché «dgnitosa, ovvero decorosa, dovrebbe essere la vita».

Non mi piace scrivere del particolare: preferisco riflettere sul generale, dibattere sul significato dei concetti, non sulle vicende delle persone. Nel personale cerco di cogliere l’universale.
Se ho iniziato con Piergiorgio Welby e la sua lettera a Napoliano, è evidentemente per debolezza, e sempre per debolezza espongo qui la mia opinione: Welby deve poter morire, è giusto che possa morire.
Ed è giusto che i discorsi generali ed universali, quelli che mi piacciono tanto, non dimentichino il particolare e il singolare, che poi è la loro origine, e guardino dritto negli occhi le persone come Piergiorgio Welby. Continua a leggere “Morte opportuna”

Dolcezze

Il termine eutanasia, dal greco buona morte, è stato usato la prima volta in epoca moderna dal filosofo Francesco Bacone nel testo, apparso nel 1605, dal notevole titolo di The second book of Francis Bacon of the Proficience and Advancement of Learning divine et human. Bacone intendeva la parola ancora nel senso antico, ossia in riferimento alla morte, non alle pratiche attive e passive che la provocano: nel consigliare la buona morte, il filosofo inglese invitava i medici a non abbandonare a se stessi i malati non curabili, non a somministrare loro del veleno. È solo successivamente che il termine ha assunto la connotazione attuale di “dolce uccisione” piuttosto che “dolce morte”.
La questione dell’eutanasia così intesa è moralmente e giuridicamente complessa e è soltanto in parte riconducibile al tema del suicidio in quanto viene messo in discussione anche il rapporto tra il medico e il paziente. Continua a leggere “Dolcezze”