La irresistibile ascesa delle emozioni nei discorsi pubblici

Quando discutiamo di qualcosa usiamo la ragione o le emozioni? Secondo uno studio pubblicato su PNAS, le parole legate alla razionalità, dopo una crescita durata oltre un secolo, sono in rapido declino.

Ho scoperto questa ricerca grazie a un articolo scritto dal filosofo Massimo Pigliucci sullo Skeptical Inquirer che riassume brevemente metodi e risultati e analizza le possibili interpretazioni.
Riassumendo: gli autori – Marten Scheffer, Ingrid van de Leemput, Els Weinans e Johan Bollen – hanno analizzato a partire dal 1850 la frequenza relativa di termini legate alla razionalità e all’emotività nei testi presenti in Google Books Ngram Viewer, guardando anche all’utilizzo della prima e della terza persona. Insomma, la differenza tra un “io credo che…” e un “si può dimostrare che…”.
Per essere sicuri della solidità del risultato hanno rifatto l’analisi sui libri di saggistica e su quelli di narrativa, sugli articoli del New York Times e in varie lingue (tra cui l’italiano). Il fatto che abbiano trovato andamenti simili mostra la bontà del loro lavoro, anche se non si possono escludere del tutto errori dovuti a distorsioni del campione (magari un tempo si pubblicavano solo un certo tipo di libri, o comunque quelli rimasti oggi nelle biblioteche sono una selezione non rappresentativa) o alle parole cercate (magari ci sono espressioni un tempo diffuse che non sono state considerate).

I su e giù dei discorsi fattuali

Come variano, quindi, razionalità ed emotività nei testi argomentativi e nella narrativa? Fino agli anni Settanta del Novecento le parole legate ai sentimenti sono in costante calo mentre quelle legate a prove fattuali (gli autori parlano di “fact-based argumentation”) crescono. A partire dal 1980 questa tendenza si ribalta con una crescita di discorsi non basati sui fatti che diventa molto marcata a partire dal 2007.

Perché tutto questo? Secondo gli autori della ricerca, la crescita che si vede fino agli anni Settanta potrebbe essere legata una visione razionalistica e naturalistica della realtà legata ai progressi scientifici e tecnici; il calo degli anni Ottanta e Novanta sarebbe una sorta di reazione alle disuguaglianze di un sistema sociale ed economico che, almeno a livello retorico, si basa sulla razionalità; infine, la rapida crescita dell’ultimo decennio sarebbe legata ai social media.
Si tratta ovviamente di ipotesi e Pigliucci, nel suo articolo, osserva giustamente che per quanto ragionevoli siano, possiamo facilmente immaginare altre spiegazioni. A me ad esempio viene in mente la globalizzazione che ha portato a una maggior diffusione di tradizioni non occidentali.

Comunicare meglio

C’è tuttavia un aspetto che non mi è chiaro. Sia gli autori dello studio, sia Pigliucci sembrano convinti che quei numeri mostrino un declino del discorso razionale. Potrebbe invece essere dovuto, almeno in parte, a una maggiore attenzione alle emozioni. Il che non vuol dire affidare alle emozioni giudizi che sarebbe meglio tenere razionali, ma rendersi conto che le emozioni ci sono e che vanno conosciute. E utilizzate per una comunicazione che, di nuovo senza escludere il giudizio razionale, riesca essere più efficace. Per convincere le persone, argomentava Aristotele, non basta il logos (il discorso razionale) ma servono anche pathos (le emozioni) ed ethos (il comportamento) che sospetto facciano uso delle parole che lo studio ha indicato come “non fattuali” e legate all’intuizione. Ma è irrazionale raccontare il cambiamento climatico, spiegandone le cause e gli effetti, partendo da un’esperienza personale?

È un’ipotesi che aggiungo a quelle già avanzate: forse quel declino di parole razionali e quella ascesa di parole emozionali sono anche il segno che stiamo imparando a conoscerci, e a comunicare, meglio.

Due cose sulle cose che diciamo delle elezioni

Non sono in grado di fare analisi politiche sulle elezioni italiane, tantomeno dare consigli ai vari partiti. Ma tanto di analisi e consigli così ce n’è in abbondanza.

Tra quelle che ho letto ho trovato due argomentazioni ricorrenti che mi hanno incuriosito.

La prima riguarda la legge elettorale, il “Rosatellum”. Non metto in dubbio che sia una brutta legge e che sarebbe importante cambiarla, innanzitutto perché è molto complicata, ma la legge è quella e tutti i partiti hanno avuto il tempo di adattare le proprie strategie. Le regole del gioco sono quelle, non sono state cambiate all’ultimo e certo possiamo prendere questo risultato come ennesima prova che la legge elettorale è da cambiare, ma pensare che con una legge diversa avremmo avuto un risultato migliore – ad esempio perché la coalizione guidata da Giorgia Meloni avrebbe una maggioranza parlamentare meno marcata – non ha molto senso: regole diverse comportano strategie diverse e non vedo perché chi (vedi il Partito democratico) non è riuscito ad attuare una strategia efficace in questa situazione di sarebbe dovuto riuscire in un’altra.

Poi c’è il tema del voto utile, dell’opportunità di scegliere il male minore. Su questo punto il filosofo Massimo Pigliucci ha scritto un interessante articolo a proposito delle presidenziali statunitensi partendo da una prospettiva stoica nella quale mi riconosco abbastanza.
“Ma perché in politica pretendi la perfezione quando in amore o sul lavoro sei disposto a venire a compromessi?” è un’obiezione che ho sentito spesso. Ed è un curioso argomento. Intanto perché scegliere per quale partito votare dipende esclusivamente da me, mentre per relazioni affettive e lavoro ci deve essere l’accordo di partner e datore di lavoro, ma poi quantomeno in amore gli astenuti non mancano: si chiamano single ed è perfettamente normale non avere una relazione se non si trova la persona giusta. Anzi, scegliere “il meno peggio” in amore fa ancora più strano che in politica. Sul lavoro è più comune ritrovarsi a fare qualcosa di indesiderato perché non si trova di meglio ma la consideriamo una situazione molto spiacevole che, nei casi più estremi, diventa addirittura una forma di lavoro forzato. Senza dimenticare che comunque non mancano quelli che lasciano un lavoro perché insostenibile.
Direi che in tutti e tre i contesti, politica, amore e lavoro, non si pretende la perfezione ma c’è comunque un livello minimo di qualità al di sotto del quale ci si dovrebbe seriamente chiedere se vale la pena andare avanti.

Tre libri in uscita a settembre

Stanno per uscire diversi libri che paiono molto interessanti – e dei quali spero di riuscire a scrivere delle recensioni. Nel frattempo, semplici segnalazioni in ordine cronologico di uscita

Il 6 settembre uscirà La natura è più grande di noi di Telmo Pievani che promette uno sguardo filosoficamente interessante al rapporto tra uomo e natura, evitando gli eccessi di antropocentrismo.

Il giorno dopo Federico Faloppa, del quale ho molto apprezzato #Odio. Manuale di resistenza alla violenza delle parole (per il quale lo avevo anche intervistato), esce con Sbiancare un etiope: La costruzione di un immaginario razzista: come il sottotitolo indica, l’autore ricostruisce la storia di un’idea, quella di “pulire la pelle scura”, che pare incredibilmente persistente.

Infine, il 27 settembre – due giorni dopo le elezioni in Italia, purtroppo – The Quest for Character: What the Story of Socrates and Alcibiades Teaches Us About Our Search for Good Leaders di Massimo Pigliucci. Il libro approfondisce un’idea alla quale Pigliucci aveva già accennato – purtroppo non ricordo dove –: nello scegliere per chi votare, dovremmo prendere in considerazione non solo aspetti politici come il programma o le competenze, ma anche qualcosa di più personale e spesso trascurato, ovvero il carattere.

Quale è la giustizia di questo mondo?

A volte c’è effettivamente giustizia in questo mondo (Sometimes there is indeed justice in this world): è il commento di Massimo Pigliucci alla notizia della condanna di otto anni di carcere la padre che, cercando di curare un eczema della figlia tramite omeopatia, ne ha causato la morte.

Non trovo le parole per definire il comportamento del padre – che nonostante la morte della figlia continua a sostenere la superiorità dell’omeopatia sulla medicina occidentale. Eppure, nonostante l’orrore suscitato da questa vicenda, non riesco a convincermi che questa condanna abbia portato un po’ di giustizia in questo mondo.

Perché punire a otto anni di carcere un padre che ha perso la figlia? D’accordo, è colpa sua – ma quale è lo scopo di questa pena? Non sarebbe stato più proficuo (e giusto?) costringerlo a studiare medicina?

Emergenze riduzioniste

Massimo Pigliucci, a proposito di un testo di Stuart Kauffman, illustra due distinzioni molto interessanti, distinzioni che è bene tenere ben presenti nei dibattiti su riduzionismo, emergenza,1 materialismo e via discorrendo. Continua a leggere “Emergenze riduzioniste”

  1. Emergenza nel senso di qualcosa di nuovo che emerge da un livello più semplice. []