I libri cartacei e la biblioteca digitale

Trovo gli ebook estremamente comodi e, se penso agli ultimi miei acquisti librari, direi che un buon 90% è composta da libri elettronici.
Certo a volte è un casino districarsi tra formati e software di protezione e c’è sempre quell’incubo orwelliano che potrebbero cancellarmi da remoto la mia intera biblioteca digitale – ma tutto viene superato dalla comodità di leggere un libro pochi minuti dopo averlo acquistato, poter regolare la grandezza dei caratteri in base alla luce e alla stanchezza, avere accesso a centinaia di volumi in pochi grammi.

Tra i vantaggi degli ebook ho sempre inserito anche la ricerca: quali sono le parole esatte pronunciate da Gandalf quando affronta il Balrog? Bastano pochi clic ed ecco la risposta (nella nuova traduzione di Ottavio Fatica):

Io sono un servitore del Fuoco Segreto e reggo la fiamma di Anor. Non puoi passare. A nulla ti servirà il fuoco oscuro, fiamma di Udûn. Torna nell’Ombra! Non puoi passare.

E questa era facile – si sa che Gandalf muore verso la fine della Compagnia dell’anello –, figurati quando hai un’espressione che non sei sicuro in quale parte è stata inserita, o addirittura in quale libro.

Eppure stasera volevo recuperare una frase, letta anni fa, sul fatto che anche chi sostiene posizione anarchiche può impegnarsi per migliorare le leggi dello Stato, una cosa tipo “si può sognare la Luna ben sapendo di vivere sulla Terra”. Sono sicuro che quella frase sia di un autore che conosco e così ho cercato il libro – un saggio sulla legalizzazione delle droghe – in cui verosimilmente era scritta. Mi sono riletto l’introduzione e le conclusione, oltre a qualche capitolo in mezzo ma niente. Mi è venuto in mente che forse la frase era scritta in un altro libro, sul matrimonio omosessuale: ho recuperato anche quello ma niente. Mi viene il dubbio che in realtà quella frase gliel’ho sentita pronunciare durante una presentazione (durante la quale magari qualcuno gli ha mosso questa obiezione).

In tutto questo ho perlustrato la libreria di casa, imbattendomi in un libro interessante letto anni fa e che adesso riproporrò a mio figlio – una volta finito Il Signore degli anelli – e ho rispolverato un po’ di argomenti a favore del matrimonio egualitario e della legalizzazione delle droghe.

Fossero stati ebook, avrei aperto i file, cercato “luna”, sbuffato per l’assenza di risultati e sarei passato ad altro.

Credo che Umberto Eco, in una delle sue Bustine di Minerva, avesse sottolineato con un esempio simile il valore di una biblioteca fisica e i problemi della sua sostituzione con una biblioteca digitale. Nei prossimi giorni dovrò prendere i libri di Eco e sfogliarli: anche se non ritroverò la citazione, sarà comunque un viaggio arricchente.

‘Umani vs. Macchina’. Davvero?

La tv svizzera proporrà, mercoledì 21 novembre, una serata speciale dedicata a big data e intelligenza artificiale, <data>land.

Dando un’occhiata agli ospiti invitati – tra cui, cito dal comunicato, il direttore dell’Istituto Dalle Molle Luca Gambardella e il garante europeo della protezione dei dati Giovanni Buttarelli –, non ho dubbi sulla serietà della trasmissione.
Tuttavia nell’ambito di <data>land troviamo anche un’iniziativa che mi lascia molto perplesso: una sfida “Umani vs. Macchina”.

CheeseMaster, questo il nome scelto, così viene presentato:

La SRG SSR e la RSI ti propongono di partecipare a un grande esperimento scientifico. Una sfida individuale e collettiva sotto forma di gioco ispirato alla tradizione svizzera: il formaggio. Ma non sarà un incontro amichevole come una cena a base di fondue… Sarà una lotta di potere, la razza umana contro l’intelligenza artificiale, la macchina!

Con tanto di chiusa finale da facepalm:

Forse pensi sia solo formaggio… A essere in gioco è invece il futuro della società e tu puoi fare la differenza.

Non critico, qui, l’idea di aggiungere un gioco per coinvolgere il pubblico e neppure la retorica del “grande esperimento scientifico”. Il problema è la cornice – o frame – concettuale in cui si inserisce CheeseMaster. Che è quello di una società esclusivamente umana in cui un bel giorno arrivano da chissà dove delle intelligenze artificiali con cui ci ritroviamo a competere. Umanità contro artificialità, organico contro inorganico eccetera: una competizione per dimostrare a quei cavolo di algoritmi che siamo sempre noi i migliori.
(Migliori in cosa, poi? Perché se rileggiamo la storia della tecnologia con questo schema dello scontro, è una lunga ritirata, iniziata con la forza fisica, proseguita con i lavori meccanici di precisione, l’elaborazione di informazioni semplici e adesso quelle complesse; ci resta, al momento, solo la creatività).

Non sono esperto di intelligenza artificiale e big data, ma qualcosa ho letto e mi pare si possa affermare che la vera sfida non sia battere i computer, ma lavorarci assieme, trovare il modo di interagire nel migliore dei modi (il che significa anche affrontare il fatto, moralmente importante, che abbiamo a che fare non più con semplici strumenti, ma con agenti che prendono decisioni).
Del resto, nessuno vuole essere più forte di una leva, ma vogliamo usare la leva nel migliore dei modi. Allo stesso modo, non dovrebbe interessarci essere più intelligenti (o creativi, o emotivi… scegliete voi il criterio) di un computer, ma come usare al meglio la sua intelligenza (o creatività, o emotività…).
Per restare all’interno dello scenario di CheeseMaster, la sfida non dovrebbe essere riuscire a essere il miglior caseificio del Paese battendo i caseifici gestiti dall’intelligenza artificiale. Ma essere il miglior caseificio del Paese imparando a utilizzare l’intelligenza artificiale.

Quelle due mani che troviamo nell’immagine di CheeseMaster non dovrebbero sfidarsi a braccio di ferro, ma stringersi come fanno le persone beneducate quando si incontrano.

Aggiornamento

La trasmissione è andata in onda e il gioco si è rivelato ben più di un semplice “gioco per coinvolgere il pubblico”, ma un modo – immagino molto efficace – per mostrare quanto sia facile impadronirsi, in maniera lecita, delle informazioni personali degli utenti, come spiegato sul sito:

Il trasferimento dei dati è avvenuto alla completa insaputa degli utenti-giocatori, ma con il loro consenso esplicito visto che tutti avevano accettato le condizioni di utilizzo del gioco interattivo. Non vi è stato nessun furto quindi.

Quanto scritto sopra rimane forse valido in generale, ma fuori luogo.

Di corsa contro le bufale

Ieri, per essere certo dell’ortografia della parola,1 ho cercato “of course” su Google. E nel “knowledge box” – quella parte che ogni tanto figura prima dei risultati e che dovrebbe mostrare la capacità del motore di ricerca di capire le richieste degli utenti – mi ha dato la seguente traduzione:

Più che un falso amico, è un gioco di parole, e infatti proviene da un sito che si chiama “dizionario-stupidario”. Continua a leggere “Di corsa contro le bufale”

  1. Non si sa mai. E comunque l’avevo scritto correttamente. []

Ho comprato due libri

L’altro giorno ero in libreria. E ho trovato due libri interessanti.

Il primo è pubblicato da Mondadori. E riporta sul retro, giusto sopra il codice ISBN, un logo “e book disponibile”.
È disponibile, ma se lo voglio lo devo pagare a parte. A prezzo pieno. L’edizione di carta costa 32 euro, quella digitale la metà; in totale 48 euro, ma onestamente chi se li prende tutti e due? Insomma, quel logo suona un po’ come un “esci dalla libreria e prenditi il libro online”.

L’editore del secondo libro è invece UTET. E sulla copertina c’è un bollino “e-book compreso nel prezzo”. Sono andato sul loro sito, mi sono registrato, ho selezionato il libro che ho comprato, ho inserito alcune parole per dimostrare di essere in possesso di quel libro (tipo “l’ultima parola della seconda riga di pagina 93”) e scaricato l’ebook, senza alcun lucchetto digitale, nel formato per Kindle.

Ora, forse la UTET sbaglia: per quanto non ci siano i costi di stampa e distribuzione, la creazione e la gestione di un documento digitale hanno un costo. Il sistema inoltre non è a prova di furbo: basta prendere il libro in prestito in biblioteca, scaricare l’ebook da cellulare mentre si è in libreria oppure, se si è fortunati, cercare la pagina nell’anteprima su Amazon o Google Books.
L’idea mi pare comunque valida: hai il libro cartaceo? Se me lo dimostri, puoi avere l’ebook a condizioni di favore – gratis, come fa per ora UTET, ma andrebbe bene anche a uno o due euro.

Mondadori, invece, fa solo venir voglia di scaricare illegalmente il loro ebook.

Il novello Principe

Per un altro verso, se è vero che in uno Stato democratico il pubblico vede il potere più che in uno Stato autocratico, è altrettanto vero che l’uso degli elaboratori elettronici, che si va estendendo e sempre piú si estenderà, per la memorizzazione delle schede personali di tutti i cittadini, permette e sempre piú permetterà ai detentori del potere di vedere il pubblico assai meglio che negli Stati del passato. Ciò che il novello Principe può venire a sapere dei propri soggetti è incomparabilmente superiore a ciò che poteva sapere dei suoi sudditi anche il monarca piú assoluto del passato.

Norberto Bobbio, 1981 (voce ‘Pubblico/privato’ nell’Enciclopedia Einaudi, ora in Stato, governo, società: Frammenti di un dizionario politico)

Certo, quello che Bobbio non poteva proprio prevedere era che i “novelli principi” non sarebbero stati governi di Stati sovrani, ma delle aziende private di nome Facebook e Google, e che le schede sarebbero state riempite di dati personali dai cittadini stessi; però l’idea che il passaggio citato sia stato scritto nel 1981 – quando i computer più avanzati erano fatti così – è comunque notevole.

Contronatura

Il concetto di software Open source non è dei più semplici da spiegare ai non addetti ai lavori: la maggior parte delle persone (giustamente) non ha la minima idea di come funzioni lo sviluppo del software e ignora che cosa siano il codice sorgente o una licenza GPL. I vantaggi del software Open source potrebbero inoltre continuare a sfuggire, anche una volta capita la differenza tra software libero e proprietario.

Questa circostanza deve aver posto qualche problema all’ufficio marketing (ammesso che ne esista uno) di Mozilla, i produttori di Firefox. Il fatto di essere Open source è sicuramente uno dei vantaggi di Firefox, ma come spiegarlo ai potenziali utilizzatori? La gratuità del software non basta (anche Internet Explorer è gratis), ed ecco quindi l’uovo di colombo:

Firefox: 100% software naturale

Se Firefox è naturale, Internet explorer e Safari sono contro natura?

Chi è l’autore

Source: WikipediaHo installato Zemanta, una estensione di Firefox che, grazie a misteriose procedure tecnologiche per me indistinguibili dalla magia, tra poco mi suggerirà come proseguire questo testo.
In pratica, basta iniziare a scrivere e, una volta raggiunta la soglia delle 300 battute (spazi esclusi), Zemanta analizzerà quanto scritto e mi proporrà alcuni articoli da citare, o da cui trarre ispirazione, oltre a qualche immagine da inserire.

A questo punto ci si potrebbe chiedere: chi è l’autore di questo testo? Il tizio che ha iniziato a scrivere l’articolo o il sistema automatico che l’ha aiutato a completarlo?
Ci si potrebbe porre una simile domanda, ma sarebbe una fesseria: vuoi per problemi di lingua (io scrivo in italiano, Zemanta suggerisce in inglese), vuoi perché il software è in versione alfa, non suggerisce niente di realmente interessante o pertinente, come potete giudicare dai link e dagli argomenti inseriti abbastanza a casaccio, per non parlare dell’immagine qui a lato.
Però Zemanta fa la sua scena, e me lo tengo installato.

Può anche funzionare da alibi: le cose interessanti e pertinenti le ho scritto io, le banalità e le castronerie le ha suggerite Zemanta.