Il dodo e T. Bayes: immagini false ma sincere

Questo è un articolo sul dodo e sul reverendo T. Bayes, ma il tema non sono né gli uccelli estinti né il calcolo delle probabilità soggettive, bensì le immagini.

Un tacchino tozzo e pesante

Iniziamo dal dodo, animale solitamente descritto come tozzo e pesante. Coerentemente con le immagini che lo ritraggono – incluse quelle usate per il logo di questo sito (basata su un’illustrazione ottocentesca).

Ebbene: il dodo non era affatto così.
Il fatto è che la maggior parte delle illustrazioni che abbiamo sono state realizzate dopo l’estinzione, avvenuta alla fine del Seicento: non erano ritratti dell’originale ma copie di copie e si sono man mano accentuate le caratteristiche che ci si aspettava da un uccello pacifico, inerme ed estinto.

Alla base di molti di questi ritratti c’è poi il quadro del pittore fiammingo Roelant Savery:

Solo che Savery aveva visto un esemplare tenuto in cattività e probabilmente malato a causa dell’alimentazione a base di carne.
Non credo che in natura avesse l’aspetto atletico di uno struzzo, ma quel collo così ingrossato è probabilmente dovuto a una malattia al fegato.

Ho scoperto tutto questo grazie a un articolo pubblicato su Horizons, la rivista del Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica, che riprende una tesi di bachelor sulla comunicazione visiva di Oliver Hoop:

Evoluzione delle immagini del dodo (immagine di Oliver Hoop).

Il reverendo T. Bayes

Passiamo adesso al reverendo Thomas Bayes (1701-1761), al quale si deve la formula per calcolare la probabilità di una causa che ha provocato l’evento verificato:

T. Bayes

Solo che questa immagine, che troviamo un po’ ovunque incluse molte copertine di libri, non è di Thomas Bayes.
È stata usata in un testo del 1936 con la seguente didascalia: “Rev. T. Bayes: Improver of the Columnar Method developed by Barrett”. Solo che, come spiega Sharon Bertsch McGrayne nel suo saggio The Theory That Would Not Die, il “Columnar Method” è stato sviluppato una cinquantina d’anni dopo la morte di Thomas Bayes. Del resto lo stile del ritratto, in particolare i capelli, non corrispondono. Evidentemente è esistito un altro T. Bayes (che magari si chiamava pure Thaddeus), dimenticato dalla storia ma non dall’iconografia.

Peraltro di Bayes si tende a sbagliare pure la data di morte, avvenuta il 7 aprile del 1761: per un errore di trascrizione alcuni riportano “17 aprile”, mentre altri confondo la data di morte con quella di inumazione, avvenuta il 15 aprile.

La verità delle immagini

Nell’articolo sui dodo, Hoop sottolinea come questo caso “mostra perché le illustrazioni scientifiche debbano essere molto precise”. Certo, per uno scienziato che cerca di ricostruire come viveva il dodo quelle immagini rappresentano un problema in quanto mostrano caratteristiche che gli animali in natura non possedevano. Ma per tutti noi il dodo è così, tozzo e sgraziato, e del resto nella maggioranza dei casi quelle immagini non hanno scopi naturalistici.

Discorso simile per l’immagine di Bayes: solo gli storici della scienza si interessano all’articolo (peraltro postumo) in cui Thomas Bayes parla delle probabilità che una palla rimbalzi da una parte o l’altra di un tavolo.

Le immagini di per sé non sono né vere né false: la verità (o falsità) è una cosa che riguarda non le cose, ma le proposizioni. A essere falsa non è l’immagine di un dodo, ma l’affermare (o il credere) che quell’immagine sia una rappresentazione fedele di un esemplare tipico di un uccello esistito secoli fa.
Di una immagine possiamo al più dire se è più o meno adeguata a una determinata funzione. Il che complica incredibilmente le cose.

Un filosofo in ascensore

numerinumeri-specchioL’ascensore che utilizzo tutti i giorni ha un grosso specchio che occupa quasi integralmente una delle pareti.
A volte mi capita di non guardare direttamente il display digitale dell’ascensore, ma la sua immagine riflessa: il fatto che questa presenti non i numeri, ma la loro immagine speculare, non è un problema. Non lo è sicuramente per 1 e 8, che sono simmetrici, e non lo è neppure per 3, 4, 6 e 7: anche se quello che mi appare ha la forma una E maiuscola o di lettere greche (gamma minuscola, una sorta di delta minuscola e gamma maiuscola), io vedo i numeri. Al secondo e quinto piano, invece, non riesco a non vedere 5 e 2: pur sapendo che il 5 che vedo è in realtà l’immagine speculare di un 2, continuo a vedere e leggere 5.
Questo mi provoca sempre un leggero disagio, perché l’ascensore sembra passare dal secondo al quinto piano per poi tornare al terzo.

Per superare il disagio, mi concentro sulla bottoniera.
Nella parte alta, subito sotto il display, alcuni disegni mostrano la procedura per lanciare l’allarme in caso di blocco: disegno di un dito che preme un bottone con una campana; disegno di una clessidra; disegno di una testa umana a fianco di una cornetta del telefono.
Una campana, una clessidra, una cornetta del telefono.
Le campane non vengono più utilizzate per dare l’allarme. Le clessidre sono oggetti d’arredamento. Sull’ascensore non c’è un telefono con cornetta, ma un microfono ambientale.
Il simbolo sopravvive all’oggetto.

A sua immagine e somiglianza

L’immagine è uno dei temi centrali della fede cristiana. La relazione tra uomo e Dio è, per certi versi, una relazione iconica: l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio e, tempo dopo, Dio si è fatto uomo.

Christoph Schönborn, che come arcivescovo di Vienna qualcosa di cristianesimo la sa, in A sua immagine e somiglianza (Torino, Lindau, 2008) sintetizza efficacemente tutto questo affermando che, per la Chiesa (d’Oriente, ma si intuisce che lo stesso vale anche per quella d’Occidente), l’icona è «una sintesi della confessione di fede» (p. 10).
Curiosamente, Schönborn introduce questo argomento in maniera poco spirituale e molto materiale: Cristo tornerà con le stesse sembianze di quando se ne è, letteralmente, volato in cielo ed è quindi necessario, per riconoscerlo, tenere a mente la sua immagine (pp. 9 e 101). L’icona come foto segnaletica. Continua a leggere “A sua immagine e somiglianza”

La realtà pura, la forma della realtà

Prima citazione

Durante questo periodo di ricerca a Parigi feci molti quadri astratti con alberi, case, piante e altri oggetti. […] Poco prima dello scoppio della Prima guerra mondiale, ritornai in Olanda per una visita. Rimasi lì per tutta la durata della guerra, portando avanti il mio lavoro di astrazione in una serie di facciate di chiesa, alberi, case ecc. Ma sentivo che stavo ancora lavorando come un impressionista e che continuavo a esprimere sentimenti particolari, non la realtà pura. […]
Esclusi sempre più tutte le linee curve dalla mia pittura e infine le mie composizioni consistettero unicamente di linee verticali e orizzontali, le quali formavano così croci, l’una separata e staccata dall’altra. Osservando il mare, il cielo e le stelle, cercai di indicare la loro funzione plastica mediante una molteplicità di verticali e orizzontali che si incrociavano.

Piet Mondrian, Verso la visione vera della realtà, 1941 (trad. it. di Viviana Toron in Scritti scelti, Treviso, Linead’ombra, 2006)

Seconda citazione

2.1 Noi ci facciamo immagini dei fatti.

2.11 L’immagine presenta la situazione nello spazio logico, il sussistere e non sussistere di stati di cose.

2.12 L’immagine è un modello della realtà.

2.13 Agli oggetti corrispondono nell’immagine gli elementi dell’immagine.

2.14 L’immagine consiste nell’essere i suoi elementi in una determinata relazione l’uno con l’altro.

2.16 Il fatto, per essere immagine, deve avere qualcosa in comune con il raffigurato.

2.18 Ciò che ogni immagine, di qualunque forma essa sia, deve avere in comune con la realtà, per poterla raffigurare – correttamente o falsamente -, è la forma logica, ossia la forma della realtà.

Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, 1921 (trad. it. di Amedeo G. Conte, Torino, Einaudi, 1998)

La realtà

Perché una immagine dovrebbe rappresentare la realtà pura, la forma della realtà?
Una immagine totale non sarebbe più una immagine, ma la realtà stessa.

Una realtà che supera ogni comprensione umana

Inizio con una confessione: non ho letto la Esortazione Apostolica Post-sinodale Sacramentum Caritatis del Santo Padre Benedetto XVI all’episcopato, al clero alle persone consacrate e ai fedeli laici sull’eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della chiesa, per il semplice motivo che il testo sembra essere ancora più lungo e noioso del titolo. Questa non è una critica, per quanto si potrebbe obiettare che una esortazione, per sua natura, dovrebbe esortare, ossia convincere delle persone, e un testo di 196291 battute (le ha contate il sempre attento Malvino) non è proprio il massimo per convincere le persone.

Non ho letto tutto il testo, sono andato direttamente alle parti più citate e interessanti. Il Papa desidera che venga «valorizzato il canto gregoriano» (§42), riconferma, anche se con alcune cautele, «la prassi della chiesa di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati» (§29), raccomanda che «per meglio esprimere l’unità e l’universalità della Chiesa […] è bene che [le] celebrazioni siano in lingua latina», escludendo ovviamente l’omelia, le letture e la preghiera dei fedeli (§62). Il tutto, come ripetuto più volte, nello spirito del Concilio Vaticano II. Continua a leggere “Una realtà che supera ogni comprensione umana”

L’immagine mi dice se stessa

«L’immagine mi dice se stessa», vorrei dire. Cioè, il suo dirmi qualcosa consiste nella sua propria struttura, nelle sue forme e nei suoi colori.
Un caso del genere si avrebbe, per esempio, se «mi dice qualcosa», oppure «è una immagine», volessero dire: mostra una qualche combinazione id cubi e cilindri.

«Mi dice qualcosa» può voler dire: mi racconta qualcosa; è una storia.

Mi dice se stessa come mi dicono se stessi una proposizione, un racconto.

Allora il concetto dell’immagine che racconta non è simile al concetto del quadro di genere (o del quadro d’una battaglia)? E se volessi descrivere che cosa sia il quadro di una battaglia non avrei bisogno di riferirmi a una realtà fuori dell’immagine: ma mi basterebbe parlar di uomini dipinti, di cavalli dipinti, di cannoni dipinti, ecc.

«L’immagine mi dice qualcosa»: come se usasse parole; qui ci sono occhi, bocca, naso, mani, ecc., ecc. Paragono l’immagine a una combinazione id forme linguistiche.

Ma il sistema del linguaggio non appartiene alla medesima categoria cui apaprtiene un’esperienza mmediata.
L’esperienza tipica che si prova mentre si usa un sistema, non il sistema. (Confronta: significato della parola «o» e sentimento dell’o).

Ludwig Wittgenstein, Grammatica filosofica, §121 (trad. it. di M. Tinchero)

Contro le ideologie

Il significato principale di ideologia è quello di insieme elaborato e, se possibile, unitario di principi e idee caratterizzanti un’epoca o un gruppo.
In questo senso si parla dell’ideologia del novecento o dell’ideologia fascista, e c’è poco da dire: si può essere critici verso una particolare ideologia, o verso uno o più aspetti di certe ideologie, ma non contro le ideologie in generale. Sarebbe come essere contro il pensiero o l’alfabeto: semplicemente, non si può. Continua a leggere “Contro le ideologie”

Cronaca teologica

Helen Joy Davidman era una scrittrice ebrea, comunista e atea, almeno lo era fino alla fine degli anni ’40, quando avvenne la conversione al cristianesimo. Si sposò due volte: la prima con lo scrittore William Lindsay Gresham, la seconda con Clive Staples (C. S.) Lewis. Morì di cancro nel 1960, all’età di 45 anni.

Tutte le morti lasciano un vuoto, un vuoto che si riempie di dolore e che è impossibile da descrivere. Il secondo marito, C. S. Lewis, tenta questa impresa impossibile: prende un quaderno trovato per casa e inizia a scrivere, ad annotare, a tenere un diario del proprio dolore. Il risultato, pubblicato con lo pseudonimo di N.W. Clerk, è A Grief Observed, in italiano Diario di un dolore. Continua a leggere “Cronaca teologica”

Notizie illustrate

Filippo Facci, su Il Giornale:

Il problema è che ormai sono tutti giornalisti: gli addetti stampa come le porgitrici di microfono come il Gabibbo e i marchettari di settore. In compenso fotografi e cameramen non sono giornalisti nonostante forniscano immagini che sostituiscono le notizie (…).

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