Un’idea di cancel culture che mette in luce il passato

Il New York Times dedica un lungo articolo all’Università di Strasburgo o meglio alla Reichsuniversität Straßburg che ne prese il posto durante il nazismo (l’Alsazia venne annessa alla Germania nel 1940).

La posizione dell’università, ha spiegato lo storico della medicina Christian Bonah, era un semplice “non è la nostra storia”, il che è certamente vero: possiamo infatti dire che l’Université de Strasbourg era in esilio in un’altra città e la Reichsuniversität era un’altra istituzione che ne occupava gli spazi. Tuttavia dopo il ritrovamento, nel 2016, di alcuni resti anatomici di vittime del nazismo l’università ha avviato un’indagine che si è conclusa con la pubblicazione di un rapporto di oltre 500 pagine. Stando a quanto dichiarato dal presidente dell’università Michel Deneken, il rapporto mostra un quadro più sfumato, mettendo in luce i legami tra la Reichsuniversität e la comunità alsaziana e la stretta collaborazione tra l’università e il vicino campo di concentramento di Natzweiler-Struthof. Insomma, la Reichsuniversität è parte della storia dell’Università di Strasburgo e bisogna farci i conti, ricordandola insieme all’eroica Université de Strasbourg.

L’articolo ricorda anche che nel 2015 un libro sosteneva che l’università conservasse ancora resti anatomici di ebrei, ottenendo la smentita da parte di “furious school officials”. Ora, non sono sicuro che tutto questo possa rientrare, e in che modo, nel dibattito sulla cancel culture, termine utilizzato per riferirsi a molte cose diverse. Mi pare in ogni caso un esempio virtuoso di come approcciarsi al passato, senza nascondere nulla ma mettendo in luce tutte le sue sfaccettature.

Biancaneve e lo straw man

Foto di Aline Dassel da Pixabay 

“Il MeToo ha rotto i coglioni”. È un commento che ho sentito a proposito della fintroversia sul bacio non consensuale del principe azzurro a Biancaneve. Dico fintroversia perché il caso è in buona parte artefatto: non riguarda il film della Disney ma il rifacimento di un’attrazione di Disneyland e in una recensione sostanzialmente positiva si faceva notare che quel bacio, messo a conclusione del percorso, potrebbe essere un po’ problematico visto che lei è incosciente. Poi è arrivata Fox News e ha deciso di trasformare la recensione in una crociata dell’estrema sinistra nel nome della cancel culture e del politicamente corretto.

Ora, sarebbe bello discutere sul ruolo delle fiabe nella costruzione del nostro immaginario collettivo e sul fatto che sono storie che vengono continuamente riadattate alla sensibilità attuale – e lo ha fatto lo stesso Walt Disney, ad esempio togliendo la tortura della regina cattiva costretta a indossare delle scarpe di metallo arroventato. E anche su cosa dovremmo fare con le opere che presentano aspetti adesso controversi, per quanto non sia la cosa direttamente in discussione (non si parla del film del 1937, ma di un’attrazione di Disneyland rifatta negli scorsi mesi).

Ma credo sia più importante quel “il MeToo ha rotto i coglioni” al quale credo potremmo aggiungere “le menate sul consenso hanno rotto i coglioni”, “il femminismo ha rotto i coglioni” e “le rivendicazioni dei diritti hanno rotto i coglioni” (sì, lo so, è un po’ l’argomento del piano inclinato, ma il passo direi che è breve). E capisco che una discussione sul bacio del principe azzurro possa venire a noia – ma evidentemente non è così, vista la marea di commenti –, ma appunto: nella mente mi si è insinuato il tarlo che la strategia sia appunto quella, non affrontare il problema seriamente, discutendo e portando argomenti, ma facendo deragliare qualsiasi dibattito con casi montati ad arte per far indignare e stancare le persone. Uno sorta di straw man argument condito con fake news che porta, appunto, a “i diritti ci hanno rotto i coglioni”.