Volpi e cani

La notizia è di qualche giorno fa: nel Grigioni italiano un cacciatore, convinto di sparare a una volpe, uccide un cane. E così Gico, un incrocio Bovaro bernese, di colore scuro, è morto.

Una notizia poco allegra, che non può non sollecitare emotivamente – e sollecitare in maniere molto diverse, a seconda della simpatie e antipatie nei confronti della caccia e degli animali.
Credo che se c’è qualcosa che la filosofia deve fare, è cercare chiarezza al di là delle emozioni, e questo vale sia per la grandi questioni morali che per questioni più piccole, come questo incidente di caccia.

Nella triste morte di Gico vedo diversi aspetti che, secondo me, è bene distinguere per riuscire a fare chiarezza.
Il primo è che Gico non è un animale selvatico: ha un nome e questo nome gli è stato dato dal padrone, un essere umano verosimilmente a lui molto legato. Uccidendo Gico, il cacciatore ha sicuramente arrecato un danno al proprietario, ed è più che giusto che questo danno venga risarcito.

Il secondo aspetto è l’abilità del cacciatore: ha premuto il grilletto in maniera a dir poco superficiale. Anche perché, per quanto un incrocio, un Bovaro bernese non sembra affatto assomigliare a una volpe. Il ritiro della licenza di caccia è il meno che ci si possa aspettare, dal momento che il soggetto non si  dimostrato persona affidabile.

Infine, c’è la differenza tra volpi e cani, tra sparare e uccidere una volpe e sparare e uccidere un cane. Al di là dei primi due aspetti sopra esposti, qual è la differenza tra i due casi? Per quale motivo la prima azione dovrebbe essere socialmente (e forse legalmente – visto che si parla di una denuncia penale) accettabile mentre la seconda, al di là dei primi due aspetti già esposti, no? Dal mio punto di vista, se non è lecito sparare a un cane, non dovrebbe essere lecito sparare a una volpe e, viceversa, se è lecito sparare a una volpe, allora dovrebbe essere lecito sparare a un cane.

14 commenti su “Volpi e cani

  1. Una differenza è quella cui tu accenni nel primo punto, il fatto cioè che l’affezione dell’uomo rende l’animale speciale e la sua vita un bene meno disponibile di quella di un animale selvatico.
    Lasciando da parte il quadro giuridico che mentre prevede che sia lecito a determinate condizioni uccidere un animale selvatico per fini ludici (caccia), vieta sempre di uccidere un cane e un gatto, la liceità che qui può interessare è quella morale e la conseguente accettabilità sociale dei diversi comportamenti: il cacciatore che la domenica dalla sua posta abbatte un cinghiale lo porta in giro come un trofeo; l’avvelenatore di gatti è un personaggio genericamente biasimato e infatti è sempre sospettato senza prove.
    Il macellaio che ha ucciso e sezionato il suinetto di pochi mesi col quale ho arricchito la mia cena di Natale è un onesto lavoratore; il manganellatore di piccoli di foca è universalmente ritenuto un individuo abietto, anche se non sempre viola una norma.
    Il dato da cui bisogna partire è a mio parere la distinzione tra vite sacre e vite sacrificabili.
    La nostra di umani, con un pomposo armamento teorico-religioso, tendiamo a ritenerla sacra e indisponibile; tutte le altre, sulla scorta del disposto biblico, sono disponibili.
    La compassione, la pietas, che alcuni assumono a fondamento antropologico dell’etica, possono essere considerate in tal senso le manifestazioni comportamentali proprio della pretesa indisponibilità della vita umana (provo compassione per chi soffre perchè capisco che è uguale a me e potrei trovarmi al suo posto).
    L’animale domestico, a causa della convivenza diventa destinatario di affetto e di compassione, e quindi viene fatto rientrare in una zona periferica dell’area di indisponibilità;
    “non nel mio giardino” potrebbe essere il motto di questo atteggiamento schizofrenico.

    Io la vedo in modo diverso e ti chiedo: se è lecito sparare ad una volpe, non dovrebbe essere lecito anche sparare ad un uomo?

    Io, personalmente, ritengo ipocrita ed infondata, e quindi da ridimensionare, la pretesa dell’indisponibilità e dell’intangibilità della vita umana, che spesso, per dirla con De Andrè, vediamo “inchiodata nel legno”.
    Da ampliare ritengo sia invece il rispetto della vita tout-court, volpe e maialino (ed embrioni) compresi.
    Partendo dal presupposto che la morte sia ineludibile per tutti e che come diceva Epicuro sia la sofferenza quella da evitare in tutti i modi, non è tanto sull’indisponibilità della vita, umana e non, che conviene soffermarsi, quanto sulle condizioni alle quali essa diventa disponibile; cioè se si è condannati a morte con un giusto processo o se si viene uccisi, non caso della volpe, per gioco o per una qualche utilità pratica (scaldarsi con una pelliccia, per esempio).
    Un bilanciamento tra principi liberali e approccio utilitaristico molto difficile.

  2. nella mia vita i miei migliori amici sono stati i miei cani, quindi forse non sono imparziale nella condanna a quell’idiota.
    ma in genere credo che un passo preliminare, prima ancora di abbattere il concetto arbitrario della sacralità della vita, sia quello di stabilire il limite prudenziale: il cacciatore che caccia “per sport” non deve esistere. il cacciatore che caccia per nutrimento o per avere le pelli per coprirsi, è “accettabile” (non mi viene un altro termine) in quelle società dove non ci sono altri modi di procurarsi cibo e indumenti.
    che non vuol dire che la ns società sia migliore. sono stato vegan per 3 anni per motivi etici, ho dovuto smettere per motivi medici (anche se ogni tanto mi pento di aver ripreso la dieta onnivora, e se non l’avessi fatto non sarei qui a infastidire la gente), ma nella ns società è vero che l’animale da cibo viene trattato in modi veramente dolorosi, provocando sofferenze inimmaginabili.
    ma era un excursus. i dubbi morali li ho sempre, era questo che intendevo.
    tornando al pirla col fucile, il suo tipo di caccia non deve essere accettato in una società che non ha bisogno di cacciare per sopravvivere. da un pdv liberale, l’animale non ha accettato il “gioco” in cui rischia la vita. certo per il cacciatore l’animale è solo una cosa.
    ma allora l’argomento si sposta sulla pericolosità sociale di un rincoglionito che imbraccia il fucile per provare piacere uccidendo. non è tollerabile, il rischio sociale è troppo alto.
    io poi sono dell’idea, a priori, che il possesso delle armi vada proibito in ogni modo ai privati. che se le cerchino sul mercato nero, dai criminali, diventando criminali a loro volta: in questo modo sarà chiaro che la società non può tollerare la presenza di armi in mano ai privati.
    ogni tanto passa tra le notizie quella di un incidente di caccia (famosissima quella che coinvolse il presidente usa gw bush che sparò al suo vice cheney nel 2006). nel 2010 in italia ci sono stati 30 morti e 50 feriti tra i cacciatori, che però non si sono limitati a fucilarsi tra di loro, e non sto parlando degli animali che hanno ucciso, ma di gente che non c’entrava niente: 1 morto e 10 feriti (fonte). e non sono nel conto i danni alle proprietà, l’uccisione di animali domestici, le minacce, ecc.
    e questo sarebbe solo il pdv liberale: harm principle, questi dementi lo violano, di conseguenza non li tolleriamo.
    dal pdv utilitarista, la caccia “sportiva” non aumenta il benessere della società (la stragrande maggioranza della società, almeno in italia, è contraria alla caccia, circa l’80%) e anzi lo riduce (causando sofferenze non solo agli animali selvatici che non fanno propriamente parte della società, ma soprattutto alle persone, come visto su), quindi di nuovo non è accettabile.

  3. @ugolino: Il parlare di sacralità della vita e di sua disponibilità o indisponibilità non mi convince, perché sembra quasi che la vita sia una cosa, un oggetto che possiamo o non possiamo possedere, dare in prestito ecc.
    Notevole la domanda sulla liceità di uccidere una volpe e un uomo. Direi che l’uomo ha caratteristiche che la volpe non ha; oppure (utilitarismo) che con l’uomo è meglio fare dei patti di non aggressione che con la volpe non è possibile fare.

    @alex: Mi hai convinto che uccidere una volpe dovrebbe essere condannabile (moralmente e legalmente) tanto quanto uccidere un cane…
    Scrivi: «l’animale non ha accettato il “gioco” in cui rischia la vita». L’animale (volpe, cervo, cinghiale…) vive nello stato di natura (se non ci vive lui…) e quindi è abituato a rischiare la vita per opera di altri predatori.

  4. Come al solito, la filosofia diventa fuorviante. Tre fatti importanti, concreti e pratici:
    1. al cacciatore andrebbe tolta la licenza, se confonde un bovaro con una volpe
    2. altresì dovrebbe pagare una multa + risarcimento al padrone del cane.
    3. il cane cmq non dovrebbe vagare nel bosco da solo, dovrebbe essere accompagnato dal padrone e, se non al guinzaglio restare cmq vicino a lui. Ho girato l’Euoropa con il mio cane, in molti Paesi vige la regola che la guardia forestale spari ai cani NON ACCOMPAGNATI. E forse non è sbagliato.
    4.Caccia sì, caccia no, è UN ALTRO ARGOMENTO. Non tiriamo in ballo il paragone con la vita umana ecc…. Sta di fatto che la fauna non va cacciato a piacere da chi ha i soldi per comprarsi una licenza + attrezzatura, ma va sorvegliata ed eventualmente diradata in caso di sovrappopolazione (come spesso succede nel caso di volpi) altresì vanno eliminati i soggetti vecchi e/o malati ecc.
    5. mi meraviglia sempre, a questo proposito, che ai cacciatori sia permesso di attraversare e rovinare campi e frutteti coltivati, cioè distruggere il lavoro di un anno di altre persone (ma siamo uguali per la legge??????) per il divertimento (???) di una giornata…. Una consuetudine residua probabilmente dal feudalesimo, dove il nobile aveva tutti i diritti e il contadino nessuno…. ma ne è passato qualche secolo nel frattempo….

  5. @Teodora: Ti ringrazio per il contributo. Comunque, i primi due punti, ma forse non sono stato chiaro io, sono parte integrante del post…

  6. 1.
    L’uomo è l’animale più forte fra tutti quelli che abitano il pianeta Terra (certo, se deve combattere a mani nude contro un orso o un leone perde, ma ha un cervello più grosso, sa come fabbricare una pistola, e come ucciderli).

    2.
    L’uomo, dall’altro di questa posizione di forza, decide lui quali sono gli animali “buoni”, e quindi degni di protezione e diritti, e quali “cattivi”, sacrificabili e accoppabili a piacimento.

    Un cane è “buono” e quindi degno di diritti (ma non in Cina: lì va benissimo cucinarselo in una zuppa), una “volpe” cattiva. Una mucca la si può allevare tranquillamente per mangiarla (ma non in India: le mucche lì son sacre), un gatto no. Chi decide queste cose? Chi decidi quali animali vanno bene e quali no? Che domande: noi.

    3.
    È “giusto” accoppare un volpe e non un cane? Callicle diceva che “giusto” è l’utile del più forte. Mai come nei confronti degli animali questa definizione di “giustizia” mi sembra valida: giusto (per gli altri animali) è, brutalmente, quello che va bene a noi, che siamo i più forti.

    Ciao.

  7. @Lorenzo, per un attimo ho creduto dicessi sul serio.

    @Ivo, che lo si voglia vedere dal punto di vista utilitaristico “hobbesiano” o liberale “lockiano” il problema rimane lo stesso e ritorna nelle tue parole come nell’iperbole di Lorenzo: la legge del più forte è l’unica possibile o si può aspirare ad un etica rispettosa anche del più debole, che sarebbe come chiedersi se dobbiamo aspettare di essere cacciati come animali da una specie più forte di noi per realizzare che la legge del più forte ci tuela sino ad un certo punto (oppure riteniamo sia questo il giusto)?

  8. Anche se parli d’una differenza, il testo non mi è chiaro.

    Stai chiedendo se esiste una differenza logica ed equa tra animali da compagnia e animali selvatici (o comunque meno nobili) o se la distinzione sia giusta?

    La distinzione c’è ed è motivata.

    Alcuni animali sono tenuti per compagnia, sono addomesticabili e non li mangiamo.
    (Segue elenco finito di animali da compagnia.)

    Altri animali non sono addomesticabili o la legge li considera fauna selvatica da tenere per il loro stesso bene in libertà, come predatori e prede, diversamente da un cane.
    In quanto prede selvatiche il cacciatore può sparare loro.

    Sulla giustezza delle motivazioni non mi pronuncio, ma non c’è trattamento iniquo: non è vero che se posso sparare a una volpe, allora s’apre pure la stagione del brachetto.

  9. Scusa: bracchetto.
    Non vorrei che qualcuno cominciasse a sparare sui brachetti nelle enoteche. 😀

  10. Caro Ugolino, dicevo sul serio eccome! 🙂

    Voglio dire, mi sembra evidente che il rapporto uomo-animale sia improntato alla legge del più forte. Noi siamo, indiscutibilmente, gli animali più forti, e (dunque) ci auto-arroghiamo il diritto di decidere per tutti gli altri: alcuni animali, quelli che troviamo simpatici o utili (cani, gatti, cavalli, …) li proteggiamo; gli altri (volpi, mucche, mosche, zanzare, …) no, e ci diamo il diritto di sterminarli come ci pare e piace.

    La legge del più forte è l’unica possibile? Oddio, speriamo di no: almeno, tra gli uomini le cose non stanno, per fortuna, così, ma sono più temperate (dalla cultura, dall’educazione): ma tra l’uomo e gli altri animali, è evidente che, piaccia o no, l’animale più forte fa quello che gli pare.

  11. @Lorenzo: Siamo i più forti. Dipende. Non sempre, in ogni caso. L’uomo non ha sempre con se armi. E pistole e fucili, in ogni caso, servono a poco contro batteri e piante velenose, che possono, a volte, essere ben più forti del più forte degli uomini.
    Il problema semmai è: siamo in uno stato di “guerra” con questi esseri? Mi ripropongo di approfondire in seguito.

    @eno: Stavolte l’errore brachetto/bracchetto non lo correggo, perché l’immagine che evoca è degna di Marx (non Karl, quell’altro).
    La distinzione tra animale da compagnia e animale da “altro” mi è chiara; il dubbio che ho è che questa distinzione si applica alle specie, non al singolo animale, come sarebbe secondo me più logico. E così il cane randagio gode di trattamento migliore del coniglio da compagnia, perché il primo è specie da compagnia, il secondo da allevamento mangereccio.

  12. @Lorenzo, non hai tenuto conto dell’ipotesi che una specie superiore venga in contato con noi, cosa di cui accennavo prima; come la metteremo in quel caso? Senza scomodare principi non negoziabili di ratzingeriana natura, ci sarà una modalità di convivenza tra specie diverse, se non universale, almeno valida anche in scenari diversi da quello consolidato?

  13. Perdonate se riprendo un post “vecchio”, ma ci sono delle domande non risposte che trovo interessanti.
    La descrizione di Lorenzo mi sembra la più corretta.
    Abbiamo eletto alcuni animali come fonte di cibo, altri come animali intelligenti e da compagnia, altri sono rimasti come resto della fauna.
    Le basi di questa scelta sono dettate proprio dalla legge del più forte. Se non fossimo stati in condizione di categorizzare il regno animale, non l’avremmo fatto.
    Non siamo sempre i più forti? E infatti, quando le malattie sono più forti di noi, vincono, obbedendo a questa legge. Quando una tigre scappa dallo zoo, se vuole sbrana chi è disarmato.
    Questa descrizione è, per me, corretta.

    @Ivo: non credo siamo in uno stato di guerra con questi animali, e personalmente ritengo abbastanza stupida la caccia a scopi non nutritivi (anche se preferirei di molto la carne di un animale che è vissuto in libertà ed è morto con uno sparo, a quella di un animale che è vissuto e morto in una fabbrica di carne).
    Trovo molto interessante la tua visione dell’animale d’affezione, molto più vicina alla realtà di quanto lo sia quella dell’attuale legislazione.
    Sinceramente, se fosse ritenuto lecito, mangerei cani e gatti non domestici, non ritenendoli superiori a mucche, cavalli, conigli, piccioni, polpi (ritenuti tra gli animali più intelligenti al mondo, eppure li ritroviamo in estive insalate di mare), ed essendo io un onnivoro (che però mangia carne molto raramente).

    @Ugolino: come faremmo? Beh, l’istinto di sopravvivenza prevarrebbe, e si sceglierebbe il miglior modo di pararsi il culo.

    Però notate bene, non ho detto di ritenere corretta la legge del più forte. Anche se, personalmente, ritengo i bisogni degli esseri umani come prioritari rispetto a quelli degli animali. Ma all’interno dell’umanità, faccio di tutto per servire il più debole.

  14. @Alberto C: la legge del più forte è quella che prevede che l’assenza di ogni vincolo: il più forte è libero di fare quello che vuole, e lo stesso vale per il piu debole: è libero anche lui, nel senso che non ha vincoli, non ha doveri verso il più forte.
    Adesso, il rapporto con un animale domestico questi vincoli o doveri li conosce, eccome! Il mio gatto si aspetta che io lo nutra e io mi sento in dovere di farlo…

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