Naturalmente patate

Scienza e sentimento di Antonio Pascale (Einaudi 2008) è un libro che mi ha profondamente deluso e che mi è piaciuto molto.

Mi ha profondamente deluso perché con un titolo simile mi aspettavo una analisi dei rapporti tra scienza e sentimento, tra razionalità e emotività, tra giudizio e pregiudizio; in poche parole: un saggio di quelli classici, con una tesi e un certo numero di argomenti a favore di questa tesi.
Pascale, Scienza e sentimentoUna tesi, a dire il vero, c’è: siamo tutti creazionisti ingenui, convinti che il mondo esista da sempre come come siamo abituati a vederlo. Il problema è che di argomenti in favore di questa tesi ce ne sono pochi: il testo è composta da una rapsodica raccolta di aneddoti, esempi e racconti vari che demoliscono questa immagine ingenua della natura. Una lettura piacevole e divertente, formativa ma non certo informativa.

Pascale si definisce un “letterato impuro”: contrariamente ai letterati puri, che scrivono belle parole su cose di cui non sanno nulla, lui sporca la purezza delle belle parole con la conoscenza e la pratica scientifica. Per quanto non più pura, la sua è comunque letteratura o, utilizzando un termine un po’ compromesso ma che qui voglio usare nella sua accezione nobile, retorica.
Non ha tutti i torti: quando qualcuno afferma che gli OGM sono «carciofi che volano o fragole grandi come mongolfiere», ribattere con analisi e ricerche scientifiche ha poco senso. L’immagine di fragole giganti che si stagliano su un cielo invaso da carciofi volanti si è impossessata della mente degli ascoltatori, e contro una simile immagine seri discorsi sulle mutazioni genetiche non servono a nulla: nessuno vorrebbe vivere in un posto che assomiglia a un dipinto di Salvador Dalì.
Nelle ultime pagine del libro, Pascale fornisce alcuni riferimenti bibliografici, utili per approfondire il tema. Si tratta, però, di riferimenti generici, che lasciano scoperti alcuni aspetti specifici presenti nel libro.

È ad esempio priva di riferimenti precisi la storia, molto interessante, della patata biodinamica (pp. 55-56):

[Il mio professore di orticoltura] non faceva altro che parlare della solanina. Un potente alcaloide che blocca un enzima: la colinesterasi. Questo enzima blocca gli impulsi nervosi. Chi assorbe solanina rischia una paralisi nervosa. Gli insetti muoiono.
La solanina purtroppo c’entra con la patata biodinamica, tutta naturale […].
La patata, vistasi attaccata dagli insetti, specialmente la
(Leptinotarsa decemlineata), un simpatico coleottero che quando lo vedi sulle foglie della patata non lo dimentichi più, ha pensato bene di difendersi.
[…] Quelle patate biodinamiche «senza pesticidi e tutte al naturale», vista l’assenza della mano (chimica) dell’uomo per combattere la dorifora si sono sentite, per così dire, responsabilizzate e hanno pensato bene di produrre solanina in eccesso. La solanina prodotta con metodo biodinamico dalla patata stessa ha ottenuto due obiettivi, ha tolto sì di mezzo parecchi coleotteri e nematodi, ma ha avvelenato parecchie persone.
In breve, vista la quantità di persone finite al pronto soccorso, il governo federale americano ha dovuto ritirare la patata naturale dal mercato.

Dorifora (fonte: Wikipedia)Dorifora (fonte: Wikipedia)

Da quel che ho scoperto, tutte le piante di patata producono solanina, ma questa è presente nelle foglie, non nel tubero, a meno che questo non venga esposto alla luce e inizino a spuntare i germogli. Le patate biodinamiche, forse, hanno anticipato la produzione di solanina, o forse l’hanno sganciata dalla presenza di germogli – non è chiaro come interpretare quel «hanno pensato bene di produrre solanina in eccesso».

Una spiegazione dettagliata avrebbe reso il tutto meno avvincente. Però qualche riferimento in più, magari una nota a piè di pagina, mi sarebbe piaciuta. Così, se un povero filosofo, letterato puro per antonomasia, vuole approfondire l’argomento, è costretto a pubblicare un post sul proprio sito, confidando in lettori più informati di lui.

11 commenti su “Naturalmente patate

  1. Sinceramente non conosco la storia della patata in questione. L’aneddoto piu’ simile che conosco e’ quello di un sedano sviluppato, con incroci tradizionali, con lo scopo di resistere meglio agli insetti, E funzionava. Ma ci resisteva cosi’ bene che sviluppava delle sostanze tossiche per il nostro organismo, e molte persone sono finite all’ospedale con delle bolle sulle braccia.
    Per la serie, se tu non difendi la pianta, ci pensa lei 🙂

  2. Dato che le piante producono i metaboliti secondari in genere per difesa (o per comunicazione), tanto la storia delle patate quanto quella del sedano non devono stupire. Si tratta di sostanze la cui produzione spesso cresce a fronte di stati di stress come l’esposizione a patogeni, a siccità ecc. (e come la “nostra” melanina quando stressiamo la pelle al sole d’estate 😉 ) per cui le variazioni quantitative sono *naturali*.

    Per la questione delle patate, però, sarebbe interessante sapere anche *come* sono stati mangiati i tuberi biodinamici. Potrei sbagliare ma la storia raccontata non è recente e potrebbe essere quella della cultivar Lenape, selezionata a partire da varietà selvatiche più resistenti e ritirata alla fine degli anni ’60. La storia è datata ad un epoca in cui il biodinamico come lo concepiamo oggi credo fosse ancora agli albori ed è raccontata qui: http://tinyurl.com/oo5szh (Buffo vedere come due righe sotto spunti il proprio sedano di Dario 🙂 ) e qui http://www.springerlink.com/content/37827612x62xp348/

    Altra nota: la selezione ed il “rinforzo” di specie coltivate con loro omologhe selvatiche non è prerogativa dell’agricoltura biodinamica, ma è una pratica comune, storica nell’agricoltura in genere.

    I glicoalcaloidi come la solanina, peraltro, sono anche amari, il che non è affatto casuale perchè rappresenta un ulteriore deterrente difensivo (oltre che un avviso indiretto vantaggioso per noi mangiapatate).

  3. @Dario Bressanini: Pascale cita anche il sedano ma, non so perché, delle due storie mi ha colpito di più quella della patata.

    @Meristemi: Grazie mille per i riferimenti. Mi sa che Pascale di riferisce proprio al Lenape, che è in effetti un ottimo esempio per mostrare come “naturale” o “tradizionale” non significhino necessariamente “buono”.

  4. Ciao, scusate intervengo: l’episodio della patata (si tratta proprio dela vecchia varietà Lenape) è, per essere precisi, tratta dal libro di Gianni Fochi, i segreti della chimica (Thea edizioni). Però, anche il mio professore di orticoltura citava spesso questo episodio (insieme a tanti altri), per farci capire a noi studenti impuberi e animati da belle intenzioni, come il concetto di naturale sia parecchio scivoloso. Ho cercato, in quelle pagine, di riprodurre quel senso di sorpresa che da studente provai quando questo episodio mi fu raccontato. Per il resto Ivo ha ragione, sono un letterato (ho scritto 6 libri di narrativa) con formazione scientifica, lavoro al ministero delle politiche agricole e forestali. Lo scopo del libro (è un paphlet) era quello di cercare di incrinare un immaginario fortemente pericoloso, perchè non analitico, non laico e in ultima analisi, è un immaginario capace di estorcerci le emozioni con immagini semplificate.Questo immaginario è vivo soprattuto tra i letterati e lettori di repubblica (quelli che amano il sapere nostalgico, per intenderci) dunque a quel pubblico, da letterato, dovevo parlare. A cose fatte e dopo parecchie letture, capisco anche – ed è un mio cruccio – che avrei dovuto procedere in altro modo, più rispettoso della metodologia epistemologica, ma probabilmente non ne sarei stato capace (mi sa però che ci riprovo)né mi era richisto, non essendo aqppunto uno scienziato, ma un curioso di scienza. Uno scrittore deve anche conoscere i propri limiti. Nella nota finale dichiaro che mai avrei potuto scrivere questo libro senza la lettura di documenti scientifici e di libri più seri e impegnativi del mio. Scienza e sentimento è quindi una specie di riassunto dei bei libri e degli articoli scientifici che ho letto in questi anni.Insomma, un ringraziamento esteso. ciao, grazie

  5. Tra l’altro è praticamente impossibile scrivere un saggio con tutte le notarelle e i riferimenti con quel poco spazio a disposizione. E poi a mio parere il libro era proprio diretto a quel pubblico e scritto in una maniera diversa non avrebbe funzionato

  6. @antonio: Ti ringrazio per l’intervento e il riferimento al libro di Fochi.
    Ribadisco quello che ho scritto all’inizio: il libro mi è piaciuto molto. Mi ha deluso perché mi aspettavo qualcosa di diverso – e perché non sono il lettore per il quale il libro è stato pensato.
    Nulla da eccepire sullo stile del racconto della patata, anzi: così come è stato scritto (con tanto di riferimenti a Leopardi che qui ho tagliato) mi ha colpito e incuriosito.

    @Dario Bressanini: Non mi sono mai cimentato in una opera editoriale simile, ma immagino che quello che dici sia vero.
    Ho preso in mano I supplizi capitali di Eva Cantarella: note e bibliografia occupano quasi un quarto del libro; impensabile fare lo stesso con il libro di cui stiamo parlando.
    Forse con internet si può creare una sorta di appendice al testo pubblicato, come sta avvenendo qui, adesso 😉

  7. «…nessuno vorrebbe vivere in un posto che assomiglia a un dipinto di Salvador Dalì…»”

    Beh, magari viverci no. Ma andarci in vacanza ogni tanto sì!

  8. @Dario Credo che David Foster Wallace ci sarebbe potuto riuscire 🙂 Il problema in quei casi è poi del lettore, che deve seguire tre-quattro tracce contemporaneamente!

  9. @gianna ferretti: Grazie per il link (del quale ci ho capito poco, lo riconosco 😉 )

    @Joe Silver: Vogliamo aprire un “OGMpark” in stile Jurassic Park di Crichton? 😉

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