Le parole sono importanti anche a destra

Su Facebook mi è stato fatto notare, a proposito della mia riflessione sul termine ‘woke’, che per la destra le parole non sarebbero importanti e che, se non fosse per la sinistra con la sua attenzione al linguaggio inclusivo, non si interesserebbe alla cosa.

C’è del vero: banalmente se sei conservatore il tuo obiettivo è non cambiare niente e per non cambiare niente devi (anche) contrastare chi le cose le vuole cambiare. Ma se il cambiamento riguardasse qualcosa di poco conto, non ci sarebbe motivo di intervenire.

Credo che ridurre il diverso punto di vista sul linguaggio a “per le destre le parole non sono importanti” non colga il punto secondo me più importante, ovvero il tipo di potere che avrebbero le parole.

Iniziamo da una constatazione banale: a destra non mancano le persone che sanno parlare e questa abilità si basa anche sul riconoscere l’importanza delle parole. Ma ovviamente non è solo retorica e ho trovato un passaggio di Robert Scruton, filosofo britannico conservatore, che potremmo trovare praticamente identico in un manuale sul linguaggio inclusivo:

La realtà sociale è plasmabile. Come è dipende da come viene percepita; e come viene percepita dipende da come viene descritta. Per questo il linguaggio è un importante strumento della politica moderna e molti dei conflitti politici del nostro tempo sono conflitti di parole.

Robert Scruton, A Political Philosophy: Arguments for Conservatism, cap. 9 (trad. mia)

Certo, da questa premesse Scruton costruisce una critica al linguaggio usato non per il suo scopo principale, cioè descrivere la realtà, ma al contrario per affermare il proprio potere su di essa. Ma questo è possibile appunto perché le parole – e non solo le parole, perché nella sua analisi del linguaggio dell’Unione europea prende in considerazione anche la sintassi e la costruzione delle frasi – hanno questo potere. Le parole plasmano la realtà sociale e per questo occorre usarle per descrivere la realtà società tradizionale, non per modificarla.

C’è anche un bel passaggio su come le definizioni possano essere oppressive:

Chi e cosa sono io? Chi e cosa sei tu? Queste sono le domande che hanno ossessionato i romantici russi e alle quali hanno dato risposte che non hanno alcun significato di per sé, ma che hanno dettato il destino di coloro ai quali sono state applicate. Io sono un membro dell’intellighenzia, tu sei un populista; io sono un nichilista, tu sei un anarchico; io sono un progressista, tu sei un reazionario.
[…] Fin dall’inizio [del comunismo], quindi, erano necessarie etichette che stigmatizzassero il nemico interno e ne giustificassero l’espulsione.

D’accordo, Scruton è un conservatore ma anche un filosofo, uno che non solo cita ma ha anche letto Wittgenstein e Marx. Cambiamo quindi contesto e prendiamo Donald Trump Jr e il suo libro Triggered (del libro di Scruton mi sono letto con interesse i capitoli sul linguaggio, qui ho cercato i passaggi pertinenti nel pdf). Quando parla di politicamente corretto e di discorsi d’odio, troviamo una tesi di fondo simile: le parole contano anche se purtroppo “nel clima odierno hanno perso completamente il loro significato” al quale sarebbe importante tornare. Certo, Trump Jr ribadisce in più punti che “le parole non sono violenza, sono solo parole” e questo credo sia un punto importante. Le parole – per Trump Jr e probabilmente anche per Scruton – si muovo in uno spazio, quello linguistico, che rimane separato dalle azioni ma non per questo non sono importanti, dal momento che ci permettono non solo di comunicare ma anche di interpretare il mondo.

Le parole sono importanti tanto a destra quanto a sinistra, tanto per i conservatori quanto per i progressisti. La differenza è che per la destra non è possibile fare cose con le parole, perlomeno se quelle cose sono atti violenti. Per la sinistra, invece, le parole possono essere azioni.
Partendo da qui si comprende meglio la diversa valutazione del linguaggio d’odio in rapporto alla libertà di espressione: non è che a sinistra la libertà di espressione valga meno che a destra; semplicemente c’è una diversa valutazione di quello che le parole possono fare.

Per fortuna ci sono i complottisti

Ho avuto occasione di seguire un po’ di incontri su Apollo 11 e la conquista dello spazio – perlopiù al CICAP Fest di Padova.
E devo ringraziare i complottisti. Che certo, c’è il problema della fiducia come nel caso del 5G, ma è grazie a loro se si entra in dettagli tecnici e scientifici, minuzie che, senza la necessità di rispondere alle accuse di chi sostiene che il programma Apollo fosse tutta (o in parte) una montatura, sarebbero rimaste confinate nei testi tecnici – mentre adesso sono in mano a valenti divulgatori.

Ci saremmo mai dedicati alla polvere sulle “zampe” del modulo lunare, se quella polvere non fosse diventata la “prova” che era tutto un imbroglio?

Alla fine quello dei complottisti è un servizio alla comunicazione della scienza. Tanto che – adottando per un attimo quella mentalità complottista – viene il dubbio che le bufale sull’allunaggio siano un’invenzione dei divulgatori per avere qualcosa in più da raccontare…

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Differenze che non riesco a cogliere

Ci sono differenze che non riesco a cogliere. E questo mi fa sentire un po’ inadeguato.

La prima differenza che non colgo è tra uccidere delle persone tramite proiettili o bombe e ucciderle con delle armi chimiche. Sembra infatti che la seconda sia meno accettabile della prima e non capisco bene perché. Forse è questione di numero di morti o di dolore inflitto durante l’uccisione, non so.
Il mio stesso dubbio, relativo alla Siria, l’ha avuto anche Matt Bors:

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La seconda differenza riguarda i reati d’opinione.
Sembra che se l’opinione sia stata espressa su un social network l’arresto sia più grave. E non capisco bene perché: se essere arrestati per un’opinione è una cosa grave, lo dovrebbe essere indipendentemente dal mezzo con cui hai espresso la tua opinione.

Il diritto di dire qual è la verità

Da un’intervista di Roberto Antonini a Noam Chomsky per la Radio svizzera di lingua italiana, apparsa su laRegioneTicino del 13 e 14 dicembre. Continua a leggere “Il diritto di dire qual è la verità”

Cristiani nel mondo

Appello PirelloneCaro Roberto Formigoni,
questa mattina ho perso il treno in stazione centrale a Milano. Altri treni in partenza da lì non ce n’erano, e così mi sono diretto, a piedi, verso la stazione del passante.
Ma non è per lamentarmi dei trasporti regionali che scrivo questa inutile lettera aperta (anche se, già che ci sono: fai qualcosa per la linea Milano-Chiasso che è un disastro!).
Quando mi ritrovo davanti alla stazione centrale, mi fermo sempre un attimo ad ammirare il Pirellone, che è proprio un gran bell’edificio. E così ho fatto anche questa mattina e ho notato, in mezzo alla facciata, una enorme scritta su sfondo rosso: “Salviamo la vita dei cristiani in Iraq e nel mondo”. Continua a leggere “Cristiani nel mondo”

Libero mercato delle idee

C’è chi si lamenta del fatto che il Comune di Milano conceda spazi pubblici ai creazionisti capeggiati da Harun Yahya.

Non ho capito se la conferenza che si terrà a Palazzo delle Stelline sarà patrocinata dal Comune o se, più banalmente, l’amministrazione milanese ha soltanto concesso, a pagamento, lo spazio. Continua a leggere “Libero mercato delle idee”

Offese culinarie

I cattolici hanno l’abitudine di mangiare, una volta la settimana, quello che per loro è il vero corpo di Cristo.
La transustanziazione ha causato numerose dispute teologiche e innumerevoli canzonature varie.1

Ma non è questa miracolosa trasformazione del pane in carne ad interessarmi: mi incuriosisce di più come delle persone convinte di mangiare Cristo si possano offendere di fronte alla prospettiva di cucinare Cristo.
Ecco un video che spiega come cucinare Cristo; ricetta lunga ma semplice: tre giorni in forno, ma poi esce da solo.

Continua a leggere “Offese culinarie”
  1. Se la memoria non mi inganna, quando Charles Sanders Peirce fa un esempio di idea massimamente assurda eppure realmente sostenuta, cita appunto la transustanziazione. []

A proposito di omofobia

Chiara Lalli, durante un convegno sul matrimonio omosessuale organizzato da Politeia e l’Università degli Studi di Milano, si è dichiarata liberale, talmente liberale da essere contraria alle leggi contro l’omofobia.1

Non c’è stato il tempo di approfondire il problema, ma immagino gli argomenti: un liberale è a favore della libertà di opinione e tollera quindi qualsiasi opinione, fino a che questa non diventa azione che danneggia gli altri (principio del danno, harm principle). Il disprezzo per l’omosessualità è una opinione ripugnante ma, da sola, non danneggia le persone e quindi non è sanzionabile dalla legge. Le aggressioni, originate o meno dall’omofobia, sono già punite, quindi una legge contro l’omofobia o non aggiunge niente, e complica inutilmente il quadro normativo, oppure sanziona le opinioni delle persone.

È possibile rispondere a queste critiche restando all’interno del pensiero liberale, senza cioè rinunciare al principio del danno?
A me vengono in mente tre possibili argomenti. Continua a leggere “A proposito di omofobia”

  1. La memoria potrebbe ingannarmi e, più che contrarietà, potrebbe trattarsi di semplice perplessità. []

Bruciar bandiere

Alpha: Perché quella faccia corrucciata?

Beta: Sto leggendo il giornale. Denunciati tre ragazzi per aver bruciato la bandiera di Israele durante un corteo.

Alphalegge anche lui l’articolo: Curioso: qui si dice che i tre ragazzi hanno tra i 25 e i 30 anni.

Beta: Fa vedere? È vero, non ci avevo fatto caso. È la nostra età, però io non mi sento un ragazzo.

Alpha: Sai, alcuni sono giovani dentro. Tu evidentemente sei vecchio dentro.

Beta: Se sono vecchio, dovrei anche essere saggio, e come saggio…

Alphalo interrompe: Guarda che non è detto che la vecchiaia porti saggezza. A volte rimbecillisce soltanto. Continua a leggere “Bruciar bandiere”

La divina dittatura

Fabrizio Mastrofini, Ratzinger per non credentiIl mondo è cambiato. Da questa affermazione, banale e proprio per questo fondamentale, parte Fabrizio Mastrofini nella sua analisi del papato di Benedetto XVI: il mondo è cambiato e il Papa si trova a dover affrontare una nuova evangelizzazione.
Il titolo del libro, Ratzinger per non credenti, si riferisce appunto a questa importante sfida: la necessità del dialogo con i non credenti.

L’impressione che si coglie, o meglio che io ho colto, dalla lettura di questo interessante e ben scritto saggio, è che Joseph Ratzinger non sia assolutamente in grado di raccogliere questa sfida.
La finestra che si affaccia in piazza San Pietro, «simbolo dell’apertura del pontificato al mondo», assume le forme della centrale di una polizia segreta di una qualche dittatura prossima alla fine. Continua a leggere “La divina dittatura”