Una breve nota sul ‘credo’ e la ‘fede laica’ di Matteo Salvini

Ogni tanto il dibattito politico vola alto e uno slogan come il ‘Credo’ di Matteo Salvini – che sono ragionevolmente certo sia stato scelto perché strizza l’occhio sia al cattolicesimo sia al fascismo – porta a discussioni tra la teologia e l’epistemologia.

Breve riassunto del dibattito

Su Avvenire il teologo Giuseppe Lorizio si interroga sul senso di quella parola, “credo”, chiedendosi se regga una “mera opinione” oppure una “adesione certa e assoluta a una serie di verità o princìpi o valori”. Perché nel senso debole si può benissimo credere in alcune proposte politiche, considerandole utili o necessarie, ma nel senso forte quel credere andrebbe riservato – è un teologo che scrive, cosa vi aspettavate? – a Dio.

Pertanto, non si può in alcun modo intendere un ‘credo’ politico in senso religioso o cristiano.

Prima di passare alla replica di Salvini, una veloce analisi del materiale elettorale, giusto per capire se il ”credo” in questione sia da intendersi in senso forte o debole. Sembra esserci una sorta di documento programmatico, ma non l’ho trovato; però sul sito della Lega Nord troviamo sia i manifesti sia una breve presente presentazione:

Credo nella libertà, nel lavoro, nella meritocrazia, nel coraggio. In un Paese orgoglioso che finalmente torna a scegliere. In una Giustizia giusta, in una Sanità che non lasci indietro nessuno. Nel rispetto di regole e persone.
Credo in chi ha la forza di rialzarsi, in chi non molla mai, in chi ancora ha idee e princìpi.

Per quanto riguarda i manifesti, Salvini fa le seguenti affermazioni (vi risparmio le immagini con il suo volto sorridente):

  • Credo negli italiani (per la flat tax al 15%)
  • Credo che nessun italiano vada lasciato indietro (per togliere l’IVA su alcuni prodotti alimentari)
  • Credo nell’Italia sicura (per fermare gli sbarchi)
  • Credo in pensioni giuste e più spazio per i giovani italiani (per riformare le pensioni)
  • Credo nell’Italia pulita (per la reintroduzione dell’energia nucleare)

Al di là delle prevedibili ambiguità che presenta ogni slogan, direi che è abbastanza chiaro che quel “credo” non riguarda la proposta concreta bensì i valori (e le istituzioni) che la giustificano. Non è un “credo che sia necessario fermare gli sbarchi per avere maggiore sicurezza” bensì un “credo nell’Italia sicura e quindi dobbiamo fermare gli sbarchi”.

Questo non significa necessariamente che il suo sia un “credo” religioso: si può credere in un ideale anche in senso politico, nel senso di ritenere quell’ideale giusto. Ma è Salvini stesso, nella risposta a Lorizio, a specificare che il suo “credo” è più religioso che politico visto che parla esplicitamente di “un atto di fede laica” (parafrasando addirittura il pessimismo dell’intelligenza di Gramsci):

In una società liquida, sfiduciata, corrosa di relativismo, e infine sempre negativa, è importante tornare a ‘credere’ in qualcosa. È insieme l’ottimismo della ragione e della volontà. Credere è dunque l’opposto di dubitare.

E ancora:

Se il relativismo ha contribuito a corrodere la società occidentale, ritornare ad avere fiducia in valori e obiettivi alti è a mio avviso il presupposto per la rinascita del nostro Paese.

Dal credo alla fede

Ovviamente non condivido il presupposto salviniano che il relativismo abbia corroso la società occidentale (ammesso che esista davvero, una cosa chiamata “società occidentale”), ma quello che ho trovato interessante in questo scambio di opinioni è un altro punto.

Lorizio distingue – correttamente – tra una concezione “forte” (che preferisco chiamare religiosa) e una “debole” (che preferisco chiamare razionale o, in questo contesto, politica) di credere. Che poi è la differenza tra il dire “Credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra” e il dire “credo che stia piovendo”: nel primo caso sto facendo una professione di fede, una adesione certa e assoluta sulla quale c’è poco da discutere, se non eventualmente a livello teologico; nel secondo caso sto facendo un’affermazione di cui tutto sommato non sono molto sicuro (altrimenti direi “so che sta piovendo” o semplicemente “piove”) e che apre a ulteriori discussioni e verifiche sperimentali (se vogliamo usare un termine così pomposo per il guardare fuori dalla finestra).

Salvini invece riformula questa distinzione: ignora il diverso atteggiamento epistemologico (“adesione certa e assoluta” da una parte e “ritenere vero qualcosa” dall’altra) ma punta tutto sulla differenza: il credo religioso ha per oggetto Dio, quello politico un ideale.
Passare da “credere” ad “avere fede” Salvini si sottrae al dubbio e alla discussione sia sui valori in sé, sia sulle istituzioni che li incarnano, sia sull’applicazione concreta di quei valori. Intendiamoci: non è un problema che Salvini sia convinto che nessun italiano debba essere lasciato indietro o che l’Italia debba essere sicura; il problema è che pretende di sigillare queste idee con il marchio della ”fede laica” sostenendo esplicitamente che questi sono punti su cui non ci possono essere dubbi. Quando invece cose da dire ci sarebbero: perché “nessun italiano” invece di “nessuna persona”? La sicurezza è un bene in sé o un mezzo? Quali sono le priorità tra questi principi? Come bilanciarli in caso di conflitto?

Il tutto è ovviamente funzionale all’idea di Salvini di avere un unico sistema di valori condiviso (il suo), senza neanche prendere in considerazione l’idea che alla base della società possa anche esservi la coesistenza pacifica di più sistemi di valori e che le istituzioni debbano in primo luogo mantenere questa convivenza. La fede – in senso religioso e laico – è del resto un modo molto efficiente per tenere insieme gruppi con visioni non necessariamente coincidenti. Ne scrive, relativamente ai conservatori negli Stati Uniti, la sociologa Francesca Tripodi in The Propagandists’ Playbook. Anche se non tutti i cristiani sono conservatori e non tutti i conservatori sono cristiani, la fede in Dio, nel Paese, nelle forze dell’ordine o nel libero mercato permettono di superare le divergenze:

Nonetheless, the concept of faith, whether it be in God, in country, in the police, or in a free market, creates an ideological dialect that resonates with conservative voters across the country.

Dalla fede alla fiducia (e alla speranza)

Giustamente uno potrebbe chiedere quale sarebbe l’alternativa a questa “fede laica”. Una l’ho già indicata: il credere nel senso razionale di ritenere vero qualcosa, restando aperti alla discussione – se costruttiva, ovviamente: non vedo molto senso nel parlare di uguaglianza con uno convinto della superiorità di chi ha la pelle bianca.

Ci sono poi altri due concetti che curiosamente non figurano in questo dibattito. Il primo è la fiducia: soprattutto se parliamo di istituzioni umane – come la polizia, il governo, la comunità scientifica… – avere fede, vale a dire una adesione certa e assoluta, può essere pericoloso; meglio chiedersi se, e a quali condizioni, queste istituzioni si meritano la nostra fiducia.
Il secondo concetto – al quale in realtà Salvini accenna quando parla di “ottimismo della volontà” – è la speranza: anche se non ho fiducia in certi partiti politici, posso comunque sperare che riescano a combinare qualcosa di buono.

In conclusione: è stato bello volare alto per un po’, ma alla fine il dibattito politico resta quello che è e la replica di Salvini è stata un’occasione per cercare di conquistare un certo elettorato citando, tra le altre cose, il “valore della vita, da preservare dall’inizio alla fine” e la “lotta a ogni genere di droga” in quella che Lorizio ha profeticamente definito “una filastrocca di opinioni”

Dimostrare la non esistenza di Dio

Sono convinto che la dimostrazione dell’esistenza di Dio sia questione filosofica, non religiosa: la fede è qualcosa di diverso dall’esistenza di un ente sovrannaturale. In altre parole: se hai ricevuto quello che molti chiamano “il dono della fede”, buon per te; io ho ricevuto quella orribile teiera a forma di Babbo Natale. Continua a leggere “Dimostrare la non esistenza di Dio”

Su Francis Collins

Barack Obama ha nominato Francis Collins direttore dei National Institutes of Health. Collins, medico genetista, è stato in passato direttore dello Human Genome Project.

Questa nomina è stata da più parti criticata e contro Collins hanno scritto, tra gli altri, Sam Harris sul New York Times, PZ Myers su ScienceBlogs e Steven Pinker.
Le accuse sono varie. Le più gravi mi sembrano le seguenti: Collins avrebbe una visione troppo ristretta della ricerca biomedica e, soprattutto, non avrebbe capito l’evoluzione, sostenendo opinioni quantomeno discutibili sul dna spazzatura e l’evoluzione umana. Ma c’è dell’altro.

Alla base di queste incomprensioni vi sarebbero le credenze religiose di Collins e il suo tentativo far convergere scienza e fede, tentativo che va ben oltre il più modesto NOMA (non overlapping magisteriamagisteri non sovrapponibili) di Gould.
Collins, è bene sottolinearlo, non è un creazionista o un sostenitore dell’Intelligent Design. Nel rispondere alla domanda se l’evoluzione è in grado di spiegare la natura umana (una delle Big Questions della John Templeton Foundation), Collins dice chiaramente che le prove a favore della teoria darwiniana sono overwhelming, irresistibili, e mostra un certo scetticismo verso il God of the gaps, il Dio che riempie i punti non troppo chiari delle teorie scientifiche. Certo, la sua risposta è not entirely: secondo lui l’evoluzione non può spiegare completamente la natura umana. Forse si sbaglia, forse è abbagliato dalle sue credenze religiose, ma questa opinione non mi sembra un grave ostacolo per il ruolo che ricoprirà.
Quello che conta, secondo me, è che Collins, di fronte a una qualche minaccia per la salute delle persone, non sia convinto di trovare la soluzione leggendo la Bibbia, come invece ha dichiarato di voler fare un certo ministro per l’economia.

Va bene, mi avete trovato

«Supponga che lei si sia sbagliato riguardo all’esistenza di Dio. Supponga che l’intera storia sia vera e che lei giunga ai cancelli del paradiso per venire ammesso da san Pietro. Avengo negato l’esistenza di Dio per tutta la vita, che cosa direbbe a… Lui?». Questa domanda venne posta a Bertrand Russell durante una cena della Voltaire Society1. Il filosofo rispose: «Bene, andrei da Lui e gli direi: ‘non ci hai dato sufficiente evidenza!’». Continua a leggere “Va bene, mi avete trovato”

  1. Così riporta John Searle in Mente, linguaggio, società, Raffaello Cortina editore, 2000, p. 41. []

Cretini eterodiretti

Dives in Misericordia (Richard Meyer)Pungolato da lector in fabula, mi imbatto in questa curiosa definizione dei cristiani: cretini eterodiretti:

Vorrebbero che ai cristiani fosse tolto il diritto di parola e di voto… in quanto cretini eterodiretti dal Vaticano.

Il problema che sta dietro questa definizione è, allo stesso tempo, filosofico, religioso e politico: se non si separano questi aspetti, non se ne esce.

Il problema dei cristiani cretini, innanzitutto, è un problema etimologico. Come riporta il Devoto-Oli, c’è poco da discutere:

Dal franco-provenz. crétin (che è dal lat. christianus) nel senso commiserativo di ‘povero cristiano’ | sec. XVIII

Tuttavia, come subito riconosce il tanto criticato Odifreddi, le etimologie significano ben poco, e servono solo a fare qualche battuta. Continua a leggere “Cretini eterodiretti”

Dialogo serale

Sera tardi. Lui (ateo / illuminato / sano di mente)1 spegne la luce e si accoccola, a mo’ di gattino, vicino a lei (credente / obnubilata / psicopatica).

Lei: Ma secondo te, sei più ateo tu o credente io?

Luisospettoso: Non lo so: non credo esista una unità di misura per l’ateismo.

Lei: Voglio dire: tu davvero credi che non ci sia nulla?

Luisi allontana leggermente da lei: Cosa vuoi che ti dica: secondo me non c’è nulla.

Lei: Capisco.

Lui: C’è solo una cosa che mi dispiace.

Leiincuriosita: Sarebbe?

Lui: Beh, che se per caso hai ragione tu, quando saremo di fronte a San Pietro avrai modo di dirmi «Te lo avevo detto io!». Se invece avrò ragione io, semplicemente non ci saremo più e io non potrò rinfacciarti nulla.

Leirannicchiandosi a mo’ di gattina vicino a lui: Questa prospettiva mi piace!

  1. Illuminato è la traduzione di Bright, il movimento sostenuto, tra gli altri, da Daniel Dennett; sano di mente, invece, si riferisce alla diffusa concezione, sostenuta tra gli altri da Sam Harris, che vede la fede una malattia mentale più o meno grave. []

Perché incontrarci?

I filosofi hanno questa malsana predilezione per lo stolto che osserva il dito mentre il saggio gli indica la luna: di fronte a una domanda, invece di pensare alle possibili risposte, il filosofo vuole ulteriori dettagli, cerca di scoprire perché porre proprio quella domanda e non un’altra, confronta varie domande eccetera. Continua a leggere “Perché incontrarci?”

Scienza e fede: come diventare atei ascoltando un vescovo

Breve resoconto della conferenza su Scienza e Fede. Continua a leggere “Scienza e fede: come diventare atei ascoltando un vescovo”

Scienza e fede: la scienza nel nuovo Millennio

BergamoScienza 2007 

Scienza e fede: la scienza nel nuovo Millennio
Domenica 14 ottobre 2007 – ore 11.00
Auditorium del Seminario Città Alta – via Arena – Bergamo

Karl Popper già nel 1930 scriveva che la sopravvivenza dell’uomo sarebbe dipesa in modo sempre più cruciale dallo sviluppo della ricerca scientifica. Secondo il Cardinale Poupard “la Chiesa, all’alba del nuovo millennio, deve aiutare gli scienziati a riconoscere un’etica capace di distinguere ciò che è bene per l’uomo e ciò che non lo è, in un dialogo che continuamente ispiri fiducia”.

Interverranno: Antonio Staglianò Preside dell’Istituto Teologico Calabro e Consulente per il Progetto Culturale, Marcelo Sanchez Sorondo Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze
Introduce: Roberto Maiocchi Università Cattolica, Milano

Non ho ben capito chi rappresenterebbe la scienza, ma rimando ogni commento a dopo la conferenza.

Limite di ragionevolezza

Nel 1941 Albert Einstein partecipò ad un convegno su scienza, filosofia e religione nel loro rapporto con la democrazia. Secondo il grande scienziato, scienza e religione hanno campi (realms) nettamente distinti, tuttavia esistono forti relazioni e, soprattutto, reciproche dipendenze: la religione deve imparare dalla scienza, ma la scienza non vi sarebbe se gli scienziati non fossero mossi da una sorta di sentimento religioso.
Nel corso della sua relazione, il cui testo è stato successivamente pubblicato in Ideas and Opinions ed è disponibile su Internet Sacred Text Archive, Einstein riassunse il suo pensiero con una immagine:

La scienza senza religione è zoppa e la religione senza scienza è cieca.

Questa affermazione ricalca una celebre frase di Kant nella quale, però, non vi erano scienza e religione bensì sensibilità e intelletto, e quest’ultima era vuota, non semplicemente zoppa.
La posizione di Kant sul rapporto tra religione e scienza era infatti ben diversa da quella di Einstein: la religione viene di fatto “ridotta” alla moralità razionalmente indagata.
Se prendiamo Einstein e Kant come due estremi della riflessione sui rapporti tra fede e ragione, non ci sono dubbi: Joseph Ratzinger è sicuramente più vicino al primo che al secondo.

Non mi risultano pubblici apprezzamenti della posizione di Einstein, però Benedetto XVI ha in più occasioni criticato la concezione kantiana della religione, ad esempio nel Discorso ai Membri della Curia e della Prelatura Romana per la presentazione degli auguri natalizi del 2005, quando cita esplicitamente Kant come momento di totale rottura del rapporto tra Chiesa ed età moderna (per un paragone: il processo a Galileo, conclusosi con l’abiura, è stato semplicemente “un inizio molto problematico”).

Dal momento che Ratzinger viene spesso chiamato “il papa teologo”, studiare più da vicino le sue idee non può che essere interessante. Continua a leggere “Limite di ragionevolezza”