Dobbiamo ringraziare i robot che puliscono i pavimenti?

Commentando l’acquisizione da parte di Amazon di iRobot, il produttore dei popolari robot aspirapolvere Roomba, John Gruber immagina un futuro in cui avremo per casa degli assistenti robotici ben più versatili di una macchinetta che se la cava bene con la polvere ma non la cacca di cane (il web è pieno di racconti del genere) e non è neanche in grado di fare le scale. Qualcosa al quale poter dire “Roomba, sistema il casino che c’è in cucina e quando hai finito portami un bicchiere d’acqua, grazie”.

round robot vacuum
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A essere sincero sono un po’ scettico su questi possibili sviluppi – mi ricordano le auto a guida autonoma, che è almeno vent’anni che avremo “entro 5 anni” – ma è interessante che Gruber concluda il suo ipotetico ordine ringraziando il robot. Se ne rende conto anche lui, tanto da concludere il suo testo con una precisazione:

(I like saying thanks to my AI assistants. My wife thinks I’m nuts. But I worry we, collectively, are going to be dreadfully rude to them by the time they’re essential elements of our daily lives.)

Ora, tralasciando il fatto che in inglese “please” e “thank you” sono più comuni che in italiano o in tedesco (Licia Corbolante spiega bene i motivi), perché mai dovremmo ringraziare un’intelligenza artificiale?

Partendo dalle principali teorie etiche, non vedo buoni motivi per farlo né per le morali deontologiche (per le quali, grosso modo, è giusto quello che discende da alcuni principi morali) né per quelle consequenzialiste (che valutano l’agire in base alle conseguenze). L’intelligenza artificiale non ha coscienza di sé e non soffre: la mancata gentilezza non viola principi morali e non ha conseguenze sgradevoli per nessuno.

Risposta diversa per l’etica delle virtù, quella che invece di guardare ai principi o agli effetti delle nostre azioni, si chiede che tipo di agenti morali vogliamo essere. E possiamo rispondere, come sembra fare John Gruber, che non vogliamo essere delle persone maleducate, anche se la maleducazione riguarda un’intelligenza artificiale.

Molto razionali e poco morali

Filippo Facci è convinto che l’uccisione di Bin Laden sia stata un errore, ed entra nei dettagli con ben sei ragioni per cui era meglio non ammazzarlo.

Ma a me colpisce l’incipit, la premessa all’elenco dei sei motivi:

Penso che l’uccisione di Bin Laden sia stata un errore, e questo per ragioni che mi paiono molto razionali e poco morali.

Questo è uno dei classici casi nei quali il saggio (in questo caso: Facci) indica la luna e lo stolto (in questo caso: io) guarda il dito. Lo ammetto e vado avanti: perché le ragioni paiono “razionali” e “poco morali”?

È forse un caso, nel senso che Facci ha trovato sei motivi per cui era meglio non eliminare Bin Landen, li ha guardati e si è detto: “Questi motivi mi paiono razionali, di mero ragionamento utilitaristico, senza fare riferimento a principi morali”. Insomma: Facci, in questa sua riflessione, si è dato al consequenzialismo, tralasciando la deontologia: calcolo costi/benefici, non principi o valori morali.

Oppure è una necessità: necessariamente le ragioni razionali sono poco morali, visto che  principi morali sono sostanzialmente irrazionali.

Chissà.

Domande e risposte

Sono passati alcuni giorni da quando Cho Seung-Hui ha ucciso 32 persone in Virginia.
Difficile dire cose sensate su questo ragazzo di 23 anni, su quello che ha fatto, sul perché lo ha fatto. Lasciando passare un po’ di tempo, si evita almeno di dire cose ridicole e inadeguate, il che è già qualcosa.

Ad un livello molto semplice di analisi, quello che Cho Seung-Hui ha fatto è una risposta. Quale sia la domanda lo ha indicato lui stesso con filmati, fotografie e testi. C’è un po’ di tutto, dai videogiochi ai film, dalla Bibbia al comunismo.
È curioso, ed è l’unica riflessione che mi viene da fare, come la condanna e l’orrore per la risposta si trasferiscano nella domanda: la tragedia è nella domanda, nei videogiochi, nei film, nella religione, nel comunismo e così via. Non è un caso se, a seconda delle opinioni de commentatore, alcuni riferimenti  vengono minimizzati o addirittura omessi.

Che le domande, gli stimoli, le richieste che hanno mosso Cho Seung-Hui possano non condividere l’orrore della sua risposta è una possibilità non contemplata.
Non si tratta di consequenzialismo, di giudicare un fenomeno, ad esempio i videogiochi o la Bibbia, dalle conseguenze: il consequenzialismo ha una visione raffinata e scientifica di causa ed effetto. Qui si è di fronte ad una sorta di magia, di una causa mitica.

Il buono, il brutto e il cattivo

Bioetica segnala un interessante articolo di Sam Harris sul Boston Globe: “Do We Really Need Bad Reasons To Be Good?”, “Abbiamo davvero bisogno di cattive ragioni per essere buoni”?

L’autore, laureato in filosofia ed esperto di tradizioni religione occidentali e orientali, si interroga sul legame tra religione e moralità: è davvero necessario credere in Dio per essere buoni?
La risposta è, ovviamente, negativa (sorprende che qualcuno si prenda la briga di scriverlo sui giornali, ma forse in questa sorpresa si pecca di ingenuità). Continua a leggere “Il buono, il brutto e il cattivo”